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Smart Cities, ecosostenibilità e urban data: utopia o distopia?


31/03/2020

Indice: 1. Digitale ed ecosostenibilità, 2. Quayside: lo smart district di Google, 3. Woven City: una smart city alle pendici del monte Fuji, 4. Business model a confronto, 5. Urban data, privacy e scelte di sviluppo: un social network di vetro?

1. DIGITALE ED ECOSOSTENIBILITA’.
La città del futuro, nell'immaginario collettivo, è spesso rappresentata come una skyline di grattacieli avveniristici, ma i più recenti esempi di smart city muovono in un'altra direzione, fatta soprattutto di urban data ed ecosostenibilità.

La tecnologia digitale e i materiali a basso impatto ambientale sono quindi il vero motore dell'innovazione: le smart cities ambiscono a coniugare algoritmi, reti internet ultraveloci e Big Data con energia pulita, emissioni zero e, in definitiva, una più accentuata armonia fra sviluppo urbano e natura.



La rilevanza dei dati nel modello di City-as-a-Service pone tuttavia degli interrogativi, ai quali si aggiungono quelli riguardanti, ad esempio, la trasparenza e la democraticità dei servizi, l’accentramento di potere digitale e l’integrazione cittadina della robotica.

2. QUAYSIDE: LO SMART DISTRICT DI GOOGLE. Un esempio di smart city è il progetto Quayside, portato avanti dalla società Sidewalk Labs (controllata del gruppo Alphabet) al fine di riqualificare l’omonimo quartiere sul lungomare est di Toronto, Canada. L’obiettivo, qui, è la creazione di uno smart district modulare, iper-connesso, votato al risparmio energetico, all’inclusività sociale e alla creazione di una vera e propria comunità. 

Un centro dinamico di evoluzione tecnologica che migliori la qualità della vita dei cittadini abbattendo i problemi delle metropoli moderne: inquinamento, mobilità, sprechi energetici. 



Senza dimenticare le aziende, le start-up e gli altri soggetti economici, che potranno trovare nella rete tecnologica di Quayside terreno fertile per crescere.

L’urbanesimo digitale voluto da Sidewalk Labs, almeno sulla carta, combina «forward-thinking urban design» e «cutting-edge technology», proponendo edifici modulari realizzati con materiali ecosostenibili, veicoli a guida autonoma, reti ultraveloci, sensori diffusi e connettività per la personalizzazione dei servizi cittadini, digital healthcare e una mobilità che segue il principio del «people-first street design». [1]

3. WOVEN CITY: UNA SMART CITY ALLE PENDICI DEL MONTE FUJI. Un altro progetto di smart city che sta catalizzando l’attenzione degli addetti ai lavori è quello presentato da Toyota al Consumer Electronic Show 2020. Woven City, alle pendici del monte Fuji, Giappone, sorgerà come una città alimentata da celle a combustibile di idrogeno in cui persone, edifici e veicoli saranno tutti connessi e comunicanti tra loro.   

Anche in questo caso, design digitale ed ecologico si fonderanno per dare vita a un nuovo modo di concepire gli spazi urbani e la mobilità: edifici realizzati in legno per ridurre le emissioni, pannelli fotovoltaici, circolazione solo a guida autonoma e ad impatto zero, realizzazione di parchi e piazze volti a cementare il senso di comunità saranno tra i principali elementi del progetto.       

4. BUSINESS MODEL A CONFRONTO. Un elemento di particolare importanza, dati gli ingenti costi di R&D di una smart city, risiede nel business model prefigurato dalle aziende che si occupano del loro sviluppo. Sotto questo profilo, è possibile riscontrare una netta differenza nei due progetti illustrati.

Woven City, difatti, è pensata al momento come un «laboratorio vivente» [2], in cui i residenti potranno testare e sviluppare le tecnologie del futuro (ad esempio, robotica e smart home). Tuttavia, data l’enfasi posta dal progetto sugli e-Palette (veicoli elettrici a guida autonoma sviluppati da Toyota), i quali saranno utilizzati non solo per la mobilità urbana, ma anche per le consegne e come negozi itineranti, sembrerebbe lecito supporre che Woven City possa diventare un valido esempio per promuovere l’efficacia e la sicurezza della guida ‘Autono-MaaS’, favorendo quindi un modello di Mobility-As-A-Service.          

Differente sembra il business model dietro Quayside. Sidewalk Labs assicura comunque che esso non si baserà sulla raccolta e sulla vendita dei dati personali dei residenti a fini pubblicitari (la società vuole creare una comunità, non un parco giochi dell’advertising). Sul piano economico, un’ipotesi è che Quayside diventi un simbolo e uno strumento di marketing per stimolare la creazione di altre smart cities basate sulla tecnologia di Sidewalk Labs. Ciò consentirebbe alla società di realizzare guadagni basati su economie di scala, cioè sulla quantità di progetti realizzati, e sulla concessione di licenze sulla propria tecnologia. La stessa società non esclude, ad ogni modo, di recuperare gli investimenti incamerando una parte degli introiti derivanti dall’aumento di valore del quartiere di Quayside e dalla mobilità. [3]      

5. URBAN DATA, PRIVACY E SCELTE DI SVILUPPO: UN SOCIAL NETWORK DI VETRO? Paradossalmente, la caratteristica delle smart cities che allo stato desta maggiori preoccupazioni è anche quella che, più di tutte, mira a garantire il miglioramento della quality-of-life: la digitalizzazione dell’ecosistema cittadino. In effetti, una città basata su reti di comunicazione e servizi personalizzati (smart home, mobilità autonoma, digital healthcare), non può che vivere di dati: dati personali dei residenti, rilevati dalla pletora di sensori sparsi in ogni angolo e in ogni edificio.  

Nel caso di Quayside, ciò ha portato i media e l’opinione pubblica a domandarsi se lo smart district rappresenti un beneficio per i cittadini, o piuttosto per i giganti della Silicon Valley [4], tanto da spingere alcuni a promuovere l’iniziativa #BlockSidewalk [5]. Ampliando la prospettiva da Quayside alle smart cities in generale, un tema importante sarà, per esempio, la gestione dell’immenso flusso di dati generato nelle città intelligenti: essa si baserà su un algoritmo aperto o chiuso? su una piattaforma controllata dall’ente pubblico territoriale o da una società privata? e come sarà tutelata la riservatezza dei cittadini in una città iper-connessa?            

E’ stato notato, in proposito, che una smart city ‘controllata’ da un soggetto privato comporterebbe un ribaltamento del modello di cittadinanza cui siamo abituati, con importanti ripercussioni urbane, civili e politiche. [6] Ma anche tenendo da parte le potenziali derive orwelliane di un’ipotetica smart city basata sulla sorveglianza di massa, è chiaro che l’avvicinamento del concetto di città a quello di app (leggasi: personalizzazione algoritmica dei servizi) apre scenari del tutto nuovi. E questo anche perché, se la riduzione del quantitativo di dati utilizzati dovesse portare a un depotenziamento del servizio, il trade off fra privacy e innovazione risulterebbe quantomai delicato.  

Ecco allora che spunta l’ipotesi, formulata da Sidewalk Labs per Quayside, della creazione di un Civic Data Trust per la raccolta e la gestione dei dati dello smart district («urban data collection»). Del resto, seguendo un modello di privacy by design, gli urban data dovrebbero risultare «de-identified by default» [7], cioè tracciati in forma anonima fin dal principio: ad esempio, per abilitare determinati servizi, il dispositivo potrebbe riconoscere una persona in quanto tale, e non nella sua specifica identità personale.     

Accanto a quello relativo al potenziale monitoraggio dei cittadini, come detto, le smart cities pongono poi ulteriori interrogativi dalle risposte complesse, come la sicurezza dell'automazione o la democraticità e la trasparenza delle scelte di sviluppo e di pianificazione.

La strada che porta alla città del futuro, basata su un modello di de-industrializzazione urbana, di digitalizzazione e di sostenibilità ambientale, è dunque quanto mai ambiziosa, e tuttavia, perché funzioni, sarà necessario trovare un (difficile) equilibrio tra innovazione, algoritmi, reti, sicurezza e privacy. Il rischio, altrimenti, potrebbe essere quello di rendere i cittadini del futuro molto simili a utenti di una City-As-A-Service, un modello che assomiglierebbe pericolosamente a un social network fatto di vetro e asfalto.

© Graziadei Studio Legale

[1] https://www.sidewalklabs.com/blog/we-ran-traffic-simulations-on-our-people-first-street-designs-heres-what-we-found/
[2] https://www.toyota.it/mondo-toyota/news-eventi/2020/toyota-woven-city-citta-futuro
[3] https://medium.com/sidewalk-toronto/sidewalk-toronto-project-update-d44738cdb239
[4] https://www.engadget.com/2019-04-05-sidewalk-labs-toronto-midp.html           
[5] https://www.blocksidewalk.ca/
[6] https://www.theglobeandmail.com/opinion/article-sidewalk-toronto-is-not-a-smart-city/
[7] https://medium.com/sidewalk-talk/an-update-on-data-governance-for-sidewalk-toronto-d810245f10f7

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