Con ordinanza interlocutoria n. 16594 del 20 giugno 2019, la Terza Sezione della Suprema Corte ha sollecitato l’intervento delle Sezioni Unite sul delicato rapporto tra tentativo obbligatorio di conciliazione in materia di telecomunicazioni, così come previsto dal Regolamento Agcom per la risoluzione extragiudiziale delle controversie (Del. 173/07/CONS), e procedimento per decreto ingiuntivo.
La questione nasce da una controversia che ha coinvolto l’operatore Telecom nel recupero del corrispettivo per la fornitura di servizi di telecomunicazione, e sulla quale i giudici dei primi due gradi si erano espressi nel senso che il mancato espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione, prima del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, rendesse improcedibile la domanda.
Gli interrogativi portati all’attenzione del giudice di legittimità sono quindi molteplici, a partire dalla reale sussistenza dell’obbligo, fino ad arrivare alla valutazione, in caso di risposta positiva, dell’effetto sul procedimento monitorio (improcedibilità o improponibilità?) e, in caso di risposta negativa, sull’atteggiarsi dell’onere di attivare il tentativo di conciliazione nella fase successiva, quella di opposizione.
Domande, queste, che la Terza Sezione ha affrontato sulla base non soltanto della legislazione nazionale primaria e secondaria, ma anche dei precedenti in materia della Corte stessa, oltre che della Consulta e della Corte di Giustizia UE.
Andando con ordine, è la Legge n. 249/1997, istitutiva di Agcom, a stabilire che la competenza dell’Autorità a individuare le controversie tra operatori e utenti, in materia di telecomunicazioni, per le quali è necessario esperire un tentativo obbligatorio di conciliazione (da ultimare entro 30 giorni) prima di proporre ricorso in sede giurisdizionale. Dello stesso tenore anche il Codice delle comunicazioni elettroniche, il cui art. 84 parla in effetti di “procedure extragiudiziali trasparenti, semplici e poco costose”.
Agcom ha dato seguito a questa impostazione normativa con alcuni regolamenti (Delibera 182/02 e Delibera 173/07/CONS), in base ai quali il ricorso in sede giurisdizionale, senza previo tentativo di conciliazione, è procedibile solo per le controversie sul recupero del credito in cui l’inadempimento “non sia dipeso da contestazioni relative alle prestazioni”. In tutti gli altri casi, pertanto, il ricorso non è procedibile in assenza di tentativo di conciliazione.
Non sfuggirà, dunque, che proprio in questo ambito si sostanzia uno dei dubbi della Suprema Corte: la legge parla di improponibilità, la delibera di improcedibilità.
Ma è anche il contesto giurisprudenziale a lasciare un alone di incertezza sulla questione considerata. Da un lato, infatti, l’ordinanza della Terza Sezione ricorda la prospettiva offerta dalla sentenza n. 276/00 della Corte Costituzionale: ossia che ci sarebbe incompatibilità strutturale tra il procedimento di conciliazione, il quale presuppone il contraddittorio, e il provvedimento monitorio, che invece non lo prevede (almeno nella fase iniziale).
Di pari avviso anche la sentenza n. 25611 della Suprema Corte, secondo la quale “il tentativo obbligatorio di conciliazione non si estende anche alla fase sommaria della procedura monitoria”, potendo invece essere inteso come condizione di procedibilità della sola fase di opposizione del procedimento.
Al contrario, in materia di servizi di telecomunicazioni, la Corte di Giustizia UE ha interpretato la Direttiva sul Servizio Universale nel senso che essa non osta a una normativa nazionale in base alla quale il tentativo obbligatorio di conciliazione costituisca una condizione per la ricevibilità dei ricorsi giurisdizionali. Allo stesso tempo, però, la medesima sentenza afferma che deve essere possibile “disporre provvedimenti provvisori nei casi eccezionali in cui l’urgenza della situazione lo impone”.
La contraddittorietà tra alcuni passaggi delle predette sentenze, e l’incertezza applicativa che ne deriva, ha fatto emergere alcuni rilievi nella ricostruzione del quadro normativo.
Sul punto dell’obbligatorietà del tentativo di conciliazione (anche) nel procedimento monitorio, ad esempio, la Terza Sezione “non ritiene di poter dare continuità” ai precedenti nazionali: dalla combinazione tra normativa primaria e regolamenti Agcom emergerebbe, infatti, la correttezza del modello che impone il tentativo di conciliazione obbligatoria. Inoltre, da un lato, i brevi termini della conciliazione (30 giorni) non creerebbero alcun effetto dilatorio ‘contrario’ alla speditezza della fase di ingiunzione; dall’altro, i caratteri di eccezionalità e di urgenza, idonei ad escludere l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione, non si riscontrerebbero necessariamente nell’ordinaria procedura per decreto ingiuntivo.
Nel rimettere la questione alle Sezioni Unite, perciò, la Terza Sezione sottolinea che appare “ormai indifferibile l’individuazione di univoci criteri di riferimento che consentano agli operatori del diritto (ed ai consociati) di conoscere preventivamente se, in materia di telecomunicazione, sia o meno obbligatorio il tentativo di conciliazione nella fase monitoria; ed ancora, in caso affermativo, quali siano le conseguenze del suo mancato esperimento; in caso negativo, infine […] quale sia la parte gravata dall’onere di attivazione del tentativo di conciliazione”.
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Ulteriori informazioni: Ordinanza interlocutoria n. 16594/2019 disponibile in pdf, link al sito della Corte di Cassazione