Documento senza titolo
COMMERCIAL LAW | Our abstracts | The library of Graziadei Studio Legale | Updated to 10/06/2021



TABLE OF LATEST CONTENTS:

§ 21. Ettore Battelli, Epistemologia dei beni immateriali: inquadramento sistematico e spunti critici        
§ 20. Federico Azzarri, Spigolature attorno alla definizione di “consumatore”
§19. Alessandro Chiappini, Riflessioni sul contratto tra titolare e responsabile del trattamento
§18. Riccardo Campione, Il Covid-19 nei contratti commerciali internazionali tra Force Majeure, Material Adverse Change/Effect e Hardship
§ 17. Livia Aulino, Consenso al trattamento dei dati e carenza di consapevolezza: il legal design come un rimedio ex ante
... Scroll down the page for previous bibliographic reports

VIEW OTHER SUBJECTS



§ 21. Ettore Battelli, Epistemologia dei beni immateriali: inquadramento sistematico e spunti critici, Giustizia Civile, Giuffrè Francis Lefebvre, n. 1/2022      

 

Il contributo ricostruisce la nascita e l’evoluzione del concetto di ‘bene immateriale’ e del suo (non facile) adattamento alle categorie giuridiche esistenti. L’Autore ammonisce infatti, fin dal principio, che all’acclarata dematerializzazione del sistema e dei valori economici in atto non è seguito un pieno adeguamento normativo, con il Codice Civile ancora troppo legato al concetto di res materiale.        


«Si avverte, quindi, la necessità di un nuovo approccio legale al fenomeno dei beni immateriali»: cioè, in altre parole, si avverte la necessità di elaborare categorizzazioni in grado di rispondere alle nuove esigenze (anche) dell’impresa.



In prima battuta, secondo l’Autore, andrebbe tuttavia valutata la capacità del diritto civile di inglobare le nuove entità immateriali. Al centro dell’indagine si pone dunque il concetto di ‘bene’ di cui all’art. 810 Cod. Civ., che, attualizzato al digitale, potrebbe apparire inadeguato a far propri nuovi fenomeni oggettivi (cioè nuovi beni immateriali) e soggettivi (cioè nuove forme di relazione tra bene e individuo). L’esegesi della norma in questione porta dunque alla necessità di una sua ‘modernizzazione’.    


Ma la tematica è resa complessa dall’erronea tendenza, rilevata dall’Autore, a ricondurre le molteplici e variegate figure dei nuovi beni immateriali all’ambito della proprietà intellettuale, con il rischio di un’estensione del modello di privativa, tipico dei diritti IP, anche a fattispecie che necessiterebbero di un differente trattamento giuridico. Si è infatti di fronte a beni anche del tutto nuovi – si pensi alle informazioni, ai dati personali, alle valute virtuali – cui dovrebbe corrispondere un nuovo paradigma normativo.

 

Sicché il lavoro – peraltro non privo di digressioni storico-giuridiche volte a individuare le tracce del ‘bene immateriale’ nel mondo antico, nonché a richiamare la lettura che di tale concetto offriva l’eminente giurista Ascarelli – ritiene che sarebbe preferibile adottare una visione funzionale dei beni immateriali. 

 

Una visione, cioè, che superi l’identificazione tra bene immateriale e bene oggetto di proprietà e consenta «una rilettura che valorizzi il rapporto tra persona e res, non inteso coincidente con il diritto su quest’ultima ma come utilità derivante dalla sua fruizione e disponibilità».

 

 

 

§ 20. Federico Azzarri, Spigolature attorno alla definizione di “consumatore”, I contratti, IPSOA, n. 1/2021 

Il contributo riflette su una possibile estensione della ormai consolidata nozione di consumatore. Secondo l’Autore, uno dei limiti dell’attuale perimetro definitorio riguarda l’esclusione di quegli acquisti che, pur avvenendo nell’ambito dell’attività professionale, non implichino “una diretta attuazione - di per sé - degli “interessi (scopi) professionali del soggetto””.

Emerge dunque soprattutto un tema di giustizia contrattuale, ad esempio nei rapporti tra professionisti, che il lavoro discute ampiamente, con proposte e considerazioni, anche in chiave comparatistica, stimolate da alcuni recenti interventi giurisprudenziali.

L’ipotizzata estensione della tutela consumeristica non taglia fuori, in linea di principio, neppure gli enti collettivi, pur con l’avvertenza che gli atti relativi alla professione, se posti in essere da una grande società, potrebbero destare il problema opposto, di un eccesso di tutela, finendo col trattare l’ente collettivo che svolge attività economica al pari di un consumatore.

La problematicità di tale estensione risiede, oltre che nell’espresso riconoscimento alle sole persone fisiche della qualifica di consumatore, anche nell’organizzazione professionale che generalmente caratterizza gli enti collettivi. In questo senso, nonostante in effetti un’ampia platea di persone fisiche e giuridiche possa trovarsi in concreto a sottostare ad alcune “situazioni di debolezza” - ad esempio quelle relative all’immodificabilità dei contratti standardizzati - l’Autore rileva che “un requisito indispensabile, onde far accedere l’ente allo status di consumatore, dovrebbe … essere quello dell’assenza di qualsiasi esercizio di attività imprenditoriale da parte dell’organizzazione”.

Si discute dunque di una possibile estensione, in presenza di certe condizioni, della definizione di consumatore a quegli “enti collettivi del primo Libro che non svolgano attività economica e stipulino il contratto con un professionista in vista del perseguimento esclusivo dello scopo ideale a cui sono votati”. Ciò sarà tanto più immaginabile quanto più emerga nell’ente l’elemento personalistico, in presenza dunque di una struttura organizzativa meno complessa.



§19. Alessandro Chiappini, Riflessioni sul contratto tra titolare e responsabile del trattamento, in Contratto e impresa, CEDAM, n. 1/2021
Il GDPR, come noto, dedica una particolare attenzione alla figura del responsabile del trattamento e alla regolazione dei rapporti tra questi e il titolare del trattamento. Partendo da tale premessa, il lavoro illustra anzitutto le ragioni della scelta, individuandole - tra l’altro - nella “complessità” (anche tecnologica) delle odierne attività di trattamento e nella necessità di garantire l’adeguatezza della protezione dati, secondo i canoni di accountability e di privacy by design e by default.

L’atto di designazione del responsabile è esaminato con riferimento alla sua natura, forma e contenuto. Quanto alla prima, ad esempio, l’Autore sottolinea la “vincolatività” richiesta al rapporto tra titolare e responsabile, delineando poi le ipotesi di assimilazione dell’accordo 

di designazione al contratto di mandato, di outsourcing e di appalto. Sotto il profilo formale, invece, secondo dottrina la designazione del responsabile può assumere la veste sia di una clausola dell’accordo principale, sia di un accordo a sé stante (nella prassi si predilige la forma dell’addendum al contratto principale).

Infine, per quanto attiene al contenuto della designazione, il lavoro dà grande risalto agli obblighi del responsabile, che si dividono tra “obblighi di assistenza del titolare” e “obblighi di riservatezza e sicurezza dei dati”, tema di cui l’Autore approfondisce i punti salienti. Chiudono il lavoro alcuni cenni sull’utilizzo delle clausole contrattuali tipo e sulla nomina del sub-responsabile.



§18. Riccardo Campione, Il Covid-19 nei contratti commerciali internazionali tra Force Majeure, Material Adverse Change/Effect e Hardship, in I contratti, IPSOA, n. 1/2021
Il lavoro esamina il tema della gestione delle sopravvenienze legate al Covid-19 nei contratti del commercio internazionale. Chiarito che la variabilità di clausole, leggi applicabili e caratteristiche delle parti non consente di delineare un “quadro di insieme dotato di completezza e sistematicità”, l’Autore verifica dunque l’applicabilità, agli effetti del Covid sui contratti, delle clausole di force majeure, di material adverse change ed effect e di hardship.

Di tali clausole si valuta anzitutto il contenuto e l’utilità nei contratti perfezionati prima della pandemia. In relazione ai contratti perfezionati a pandemia già in corso, invece, il Covid perde i “connotati di imprevedibilità e straordinarietà”.

Si suggerisce quindi la possibilità di rimodulare le suddette clausole secondo le specificità legate a determinati effetti della pandemia o, in assenza di previsioni negoziali, di fare ricorso a un possibile obbligo di rinegoziazione secondo buona fede.



§ 17. Livia Aulino, Consenso al trattamento dei dati e carenza di consapevolezza: il legal design come un rimedio ex ante, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, Giuffrè Francis Lefebvre, n. 2/2020
In tema di privacy, specialmente in ambiente digitale, una questione rilevante è la consapevolezza dell’utente circa il trattamento dei suoi dati. In un contesto caratterizzato da informative lunghe e tecniche, talvolta lette senza le dovute competenze e attenzione, l’Autrice suggerisce quindi come rimedio ex ante l’approccio del legal design.

Lo strumento, che punta alla “corretta ed efficace visualizzazione di un contenuto legale”, “attraverso l’uso di elementi testuali e para-testuali”, sembrerebbe in quest’ottica utile ad aumentare la consapevolezza del consenso prestato dall’utente.

Ciò è coerente, sottolinea il contributo, con il quadro generale del GDPR, e in particolare coi suoi canoni di privacy by design by default, oltre che con quelli di intelligibilità ed accessibilità dell’informativa, tutte tematiche che qui vengono richiamate.

L’utilizzo di “icone grafiche” e di “un linguaggio chiaro, efficace e facilmente comprensibile” potrebbero quindi, in questo senso, controbilanciare l’asimmetria informativa, e ciò soprattutto con riferimento ai cosiddetti “dark patterns”.

In altre parole, l’Autrice declina qui, applicandolo alla privacy, il concetto di “lettura funzionalistica” delle norme che dovrebbe abitualmente caratterizzare il contesto digitale.



§ 16. Giovanni Bonilini, La data, quale requisito essenziale del testamento olografo, in Famiglia e Diritto, IPSOA, n. 11/2020

Il lavoro - un commento ad una recente sentenza della Cassazione - muove dai fondamenti del requisito della data nel testamento olografo per poi esaminarne le specificità.

Nel caso in questione, in particolare, è la mancata indicazione della data nel testamento, unita alla non ricavabilità della stessa da elementi intrinseci, a far propendere per l’annullamento. Quest'ultimo, peraltro, opera con effetto retroattivo, “come se il testamento non fosse mai esistito”, caducandone gli effetti prodotti.

L’Autore ha dunque la possibilità di soffermarsi sull’importanza del requisito della data, con una riflessione, tra l’altro, sulla sua funzione e sulle caratteristiche richieste dal Codice Civile.

Quanto alla funzione, ad esempio, è noto che, in presenza di più testamenti olografi, la data rappresenti un elemento necessario a comprendere quale sia quello efficace, cioè l'ultimo. Ma sul punto l’Autore specifica che il testamento precedente potrebbe ugualmente dispiegare alcuni effetti, se essi non sono incompatibili con il testamento successivo e se quest’ultimo non ha revocato il precedente.

Quanto alle caratteristiche, il lavoro, partendo dal presupposto che il testamento olografo “deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto dal testatore” (art. 602 c.c.) e che la data deve contenere giorno, mese ed anno, va ad esaminare alcune ipotesi particolari. Tra queste, quella della data presente in forme equipollenti, ammissibile purché non comporti incertezze.



§ 15. Francesca Benatti, Contratto e Covid-19: possibili scenari, in Banca Borsa Titoli di credito, Giuffrè Francis Lefebvre, n. 2/2020       
Come da titolo, il lavoro prova a tracciare la sorte dei contratti nella perdurante fase di emergenza sanitaria da Covid-19. In questo senso, un primo elemento di complessità del sistema è rappresentato dalla portata globale non solo delle dinamiche produttive (delocalizzazione), ma anche della stessa epidemia.         
Alla luce delle soluzioni prospettate dal diritto internazionale, vengono così analizzate, tra l’altro, le ipotesi di hardship e di force majeure, distinguendo i casi in cui sia il contratto a disciplinarle e i casi in cui tali previsioni invece manchino. Le valutazioni in merito all’applicabilità della forza maggiore devono altresì tenere conto di una pluralità di fattori, tra i quali è possibile ricordare, ad esempio, la tipologia di contratto, il tempo della stipula, la ricostruzione della volontà delle parti. Il tutto secondo buona fede, con un approccio case-by-case e senza dimenticare l’incidenza delle misure di contenimento dell’epidemia sulla possibilità di adempimento.      
Emerge dunque un quadro quanto mai articolato, in cui l’Autrice distingue ipotesi di prestazioni ancora possibili, prestazioni divenute più onerose e prestazioni rese impossibili. Tra inesigibilità ed eccessiva onerosità, poi, si fa strada nel discorso anche un ulteriore elemento, che è quello della possibile rinegoziazione del contratto: è questa un’ipotesi potenzialmente vantaggiosa, ma difficilmente applicabile in assenza di specifica pattuizione.



§ 14. Giusella Finocchiaro, Il principio di accountability, in Giurisprudenza italiana, UTET Giuridica, Dic. 2019   
La pietra angolare del nuovo Regolamento privacy è costituita dal ben noto principio di accountability del titolare del trattamento, e il lavoro in commento si premura di approfondire il senso e le conseguenze di questo importante «cambio di paradigma».           
Per l’Autrice, l’accountability è al tempo stesso «responsabilità di scegliere» e «onere di provare»: consiste cioè in un più alto grado di autonomia lasciato al titolare nel concreto adeguamento ai principi del GDPR, al quale tuttavia corrisponde un controllo sulla compliance non meno rigoroso di prima, affidato alla valutazione ex post del giudice o del Garante. Non si tratta quindi di un alleggerimento degli obblighi, semmai di una loro ricalibrazione: ciò è ben evidenziato dall’Autrice nel passaggio in cui afferma che molte previgenti disposizioni risultano «sostanzialmente confermate, mentre è mutato il contesto normativo nel quale le stesse sono inserite, fondato appunto sul principio dell’accountability».
Esempi ne sono l’informativa e il consenso, ma anche il legittimo interesse del titolare. 
Nel rimarcare l’approccio sostanziale e concreto dell’accountability, il contributo non manca poi di mettere in risalto i corollari che ne derivano, così come di valutarne l’applicazione nel delicato contesto della sicurezza dei dati e dell’intelligenza artificiale.



§ 13. Carolina Magli, Note critiche sul passaggio generazionale dell’impresa familiare, tra patto di famiglia, strumenti alternativi di diritto societario e trust, in Contratto e impresa, CEDAM, n. 4/2019       
Le intersezioni fra l’interesse alla conservazione del valore dell’impresa nel tempo e le tutele successorie degli eredi dell’imprenditore rendono particolarmente delicata la fase del passaggio generazionale dell’impresa.     
Ponendosi in questa prospettiva, il contributo effettua una ricognizione di talune fattispecie capaci di garantire una «pianificazione adeguata» delle operazioni, anche alla luce del divieto generale di patti successori. L’Autrice ricostruisce dunque le caratteristiche di due noti istituti, il patto di famiglia e il trust, dando inoltre conto del grado di compatibilità con l’ordinamento di alcuni altri strumenti di diritto societario potenzialmente utili al passaggio generazionale.
Per quanto attiene al patto di famiglia, il lavoro sottolinea alcuni dubbi interpretativi e alcune problematiche che ne hanno limitato l’applicazione concreta, quali la posizione degli eventuali legittimari sopravvenuti, la portata limitata ai soli discendenti dell’imprenditore, il necessario consenso unanime dei legittimari. 
Più flessibile e duttile, a fini di passaggio generazionale dell’impresa, si rivela invece il trust, istituto di origine anglosassone che si caratterizza per la «funzione protettiva», l’ «effetto segregativo» e il vincolo di destinazione dei beni in esso conferiti.          
Così inquadrata la questione, l’Autrice auspica tuttavia che si possa favorevolmente valutare la meritevolezza di una nuova fattispecie ‘ibrida’ tra le due, capace cioè di coniugare la flessibilità del trust e la protezione dalla collazione e dall’azione di riduzione propria del patto di famiglia.



§ 12. Fabio Bravo, Sulla figura del “responsabile interno” del trattamento di dati personali, in Il Diritto dell’Informazione e dell’Informatica, Giuffrè Francis Lefebvre, n. 4-5/2019          
La compatibilità della figura del “responsabile interno” del trattamento dati con la struttura normativa del GDPR rappresenta il tema al centro del lavoro qui segnalato. La questione, sottolinea l’Autore, è resa complessa tanto dalla stratificazione normativa del doppio livello nazionale ed euro-unitario, quanto dalla non perfetta identità di classificazione delle figure di riferimento nelle dette fonti.         
Nel dare conto dell’evoluzione normativa e nel riflettere sulla questione di fondo, l’Autore, pur riportando le tesi volte ad espungere dall’ordinamento la figura del responsabile interno (o, quantomeno, a ricondurla sotto l’etichetta del “soggetto designato”), con una conseguente ammissibilità del solo responsabile esterno, sostiene invece la piena compatibilità di questa figura con il nuovo contesto normativo.  
In particolare, non sussisterebbero in tal senso né ostacoli di ordine formale, con una possibile modulazione funzionale di talune norme che sembrerebbero pensate più per il responsabile esterno (es. l’obbligo di tenuta dei registri delle attività di trattamento), né ostacoli di ordine procedurale, essendo la responsabilità civile per danni assolutamente compatibile con la figura in parola, né infine ostacoli di ordine contrattuale, col contratto o altro atto giuridico richiesto dal GDPR per la nomina del responsabile applicabile anche al responsabile interno, in virtù delle funzioni ad esso attribuite.
Oltretutto, dal punto di vista applicativo, non riconoscere la figura del responsabile interno comporterebbe il rischio di un «ridimensionamento dei livelli di tutela in favore degli interessati», in quanto si finirebbe col sottrarre «i soggetti designati all’interno dell’organizzazione del titolare alle garanzie richieste dall’art. 28» del GDPR. Un’esclusione, dunque, che contrasterebbe in partenza con l’impianto normativo del nuovo Regolamento.



§ 11. Enrico Gabrielli, La nozione di contratto e la sua funzione. Appunti sulla prospettiva di una nuova definizione di contratto, in Giustizia civile, Giuffrè Francis Lefebvre, n. 2/2019        
Il “contratto”, quale primaria base giuridica dell’autonomia privata, è andato rivestendosi nel tempo di una pluralità di funzioni e di significati tale da rendere impossibile, al di là degli sforzi definitori, l’individuazione di una nozione unitaria. Il lavoro qui commentato, non a caso, mette in risalto l’inclusività tanto lessicale quanto legislativa del concetto di “contratto”, con la struttura codicistica che lo colloca sì nell’art. 1321, ma attribuendogli poi ulteriori funzioni in altre parti del «tessuto normativo».    
L’unità concettuale, per quanto auspicata, deve inoltre relazionarsi, con il dinamismo contrattuale odierno, legato alle «modificazioni del tessuto economico e dei rapporti giuridici».
L’Autore evidenzia sul punto una compartimentazione e una spersonalizzazione del dato contrattuale, che nel suo percorso evolutivo si è allontanato dalla soggettività pura della volontà delle parti, avvicinandosi invece all’oggettività informativa della sfera commerciale, secondo una «procedimentalizzazione dell’esercizio dell’autonomia privata». Il rischio è la rottura definitiva dell’unità di sistema alla quale, tuttavia, difficilmente potrebbe giovare perfino una nuova e più comprensiva definizione di contratto, per quanto incentrata sulla nozione oggi prevalente di «operazione economica». Ribaltando la prospettiva di partenza, l’insegnamento dell’Autore appare quindi come un ammonimento verso i facili entusiasmi del nuovo a tutti i costi: le definizioni restano pur sempre – e quella di contratto non fa eccezione – una semplice «sintesi verbale» del fenomeno giuridico, un concetto statico destinato, in quanto tale, a vivere un rapporto di confronto continuo con la dinamicità del diritto vivente.



§ 10. Mariagrazia Monegat, Il condominio non ha personalità giuridica e l’amministratore non ne ha la rappresentanza processuale esclusiva: le azioni concernenti i beni comuni competono anche al singolo condomino, in Immobili & Proprietà, IPSOA, n. 6/2019            
Le Sezioni Unite, con pronuncia n. 10934/2019, hanno affrontato il tema della «riduzione in pristino» di opere realizzate in contrasto con il regolamento di condominio. Prendendo spunto da ciò, il contributo rimarca due indirizzi fondamentali, sebbene talvolta discussi, in materia condominiale. In particolare, l’Autrice ricorda che il primo indirizzo esclude la sussistenza di una piena personalità giuridica in capo al condominio stesso: nonostante la L. 220/2012 riconosca al condominio una «limitata soggettività giuridica», infatti, esso resta comunque un semplice ente di gestione, e non un’entità separata e distinta dai condomini. Il secondo indirizzo riguarda invece la rappresentanza processuale relativamente alle controversie su beni comuni. In proposito, le Sezioni Unite hanno ribadito che, quando la controversia su un bene comune riguarda un diritto del condomino, e non la semplice gestione, egli è legittimato ad agire in giudizio con ricorso autonomo rispetto a quello portato avanti dall’amministratore.  



§ 9. Stefano Porcelli, La nuova “Parte generale del diritto civile della Repubblica Popolare Cinese”. Struttura e contenuti, in Rivista di diritto civile, Cedam, n. 3/2019      
Il contributo si fa carico, con completezza e linearità, del non facile compito di spiegare al giurista occidentale l’opera di codificazione civilistica attualmente in corso in Cina. Partendo da un inquadramento storico, che mette in evidenza le faticose tappe del diritto civile cinese e la tradizionale preferenza per le leggi speciali, l’Autore dà conto delle esigenze di coordinamento che hanno portato alla recente stesura di una “Parte generale del diritto civile”.     
La seconda parte del lavoro va poi a svelare struttura e peculiarità del testo in via di redazione, fra ispirazione occidentale e influenza orientale. Ne emerge un modello «pandettistico», che tuttavia unisce civile e commerciale; un testo che si rifà all’organizzazione scientifica di derivazione romanistica, rispettando al contempo la risalente tradizione culturale cinese, e accogliendo anche stralci sovietici, riscontrabili nelle intersezioni pubblicistiche.
Sotto il profilo metodologico, l’Autore accompagna la lettura della Parte generale del diritto civile cinese con la delineazione dei criteri redazionali del corpus normativo (generalità, stabilità, essenzialità), dando conto anche, in relazione all’elaborazione delle bozze preliminari dei restanti libri del codice, della circostanza che si tratti di un’opera di sistemazione e rielaborazione delle leggi speciali.        
In definitiva, quello qui segnalato è un lavoro agile ma organico, una finestra sul sistema giuridico civilistico di un Paese, la Cina, ormai affermatasi tra i leader commerciali del nostro tempo.



§ 8. Alessandro Semprini, Il deposito prezzo nell’acquisto di immobili da costruire, in Contratto e impresa, Cedam, n. 2/2019  
Le asimmetrie tra venditore e acquirente di un immobile da costruire non sembrano ancora trovare un soddisfacente riequilibrio normativo, soprattutto in relazione alle tutele a disposizione dell’acquirente in caso di crisi del costruttore. Il lavoro qui segnalato, poggiando sulle criticità di una disciplina lontana dalle reali esigenze dei contraenti, cerca dunque di descrivere e di superare le inefficienze del D.Lgs. 122/05 (così come modificato dal D.Lgs. 14/2019).         
L’Autore individua i principali punti deboli nell’esclusione delle cosiddette «vendite su carta» dall’ambito di applicazione della legge, nonché nell’onere a carico del venditore di prestare una particolare fideiussione, le cui rigide caratteristiche, fissate per legge, sembrano peraltro porsi alla base della sistematica disapplicazione della normativa.          
In attesa di un organico intervento del legislatore, dunque, ciò che il lavoro propone è l’utilizzo di un differente strumento giuridico, che si pone al di fuori della disciplina in discorso, ma che potrebbe riequilibrare gli interessi delle parti anche in assenza dell’apposita fideiussione: si sta parlando, in effetti, del «deposito prezzo nel conto dedicato dal notaio». Si tratta di un istituto, le cui caratteristiche sono ben illustrate nella trattazione, che rappresenta l’evoluzione normativa del deposito formale e del deposito fiduciario e che consiste, in sintesi, in un conto corrente dedicato presso il notaio, un patrimonio destinato.           
Anche al netto di alcuni profili problematici minori, sostiene l’Autore, tale strumento risulta particolarmente idoneo a tutelare le esigenze, anche concorrenziali, dei costruttori, che non avranno più l’onere della fideiussione, garantendo al contempo al compratore la certezza di non perdere i propri soldi in casi come la crisi del costruttore.



§ 7. Ester Zucchelli, In art we trust: il trust come strumento di gestione e tutela di opere d’arte, in i Contratti, IPSOA, n. 3/2019       
Il lavoro si pone come una vera e propria guida operativa all’utilizzo del trust per la gestione delle opere d’arte. Dopo aver tratteggiato le linee essenziali dell’istituto, di derivazione anglosassone, l’Autrice illustra le fasi propedeutiche alla corretta instaurazione di un trust per la protezione di opere di valore artistico, siano esse tutelate con finalità remunerativa o di conservazione dell’unitarietà della collezione di cui fanno parte. 
Esiste pertanto una prima fase di due diligence, necessaria alla costruzione dell’inventario, cui segue la scelta della tipologia di trust più aderente all’obiettivo: sul punto, si distinguono il ‘reserved powers trust’, che prevede un ampliamento dei poteri del disponente, dalla ‘private trust company’, che contempla la figura dell’art advisor; non dissimile da questa è la ‘private trust foundation’, in cui il ruolo di trustee è svolto da una fondazione in luogo della trust company, mentre il ‘purpose trust’ si caratterizza infine «per l’assenza di beneficiari e per la presenza di uno o più “purposes”». 
Terza ed ultima fase è poi il conferimento delle opere nel trust, ambito in cui il richiamo agli aspetti fiscali dell’operazione consente all’Autrice di predisporre una panoramica relativa alle figure professionali coinvolte e ai loro compiti.           
A riprova della indiscussa valenza dell’istituto per la tutela di un patrimonio artistico, il contributo illustra infine alcuni ‘case studies’, incoraggiando così la fiducia in un istituto poco diffuso, ma molto duttile.  



§ 6. Federico Azzari, Ricodificazione del diritto dei contratti: il ruolo della parte generale e l’influenza delle discipline di settore, in Contratto e impresa, Cedam, n. 2/2019           
L’impermeabilità del Codice Civile, con riferimento alla disciplina contrattuale, è da tempo messa in discussione dal susseguirsi di intersezioni settoriali, quali la normativa consumeristica. L’ipotesi di una – quantomeno parziale – ricodificazione, efficacemente sostenuta nel contributo segnalato, trova quindi una sua giustificazione, per prendere in prestito le parole dell’Autore, nella “riconcettualizzazione dell’autonomia privata”.         
Del resto, la complessità introdotta nel sistema contrattualistico da fonti esterne al Codice, anche di matrice europea, impone una riflessione sul ruolo e sulla valenza odierna dell’impianto tradizionale, atteso che sono oggi prevalentemente le discipline extra-codicistiche “a regolare il comparto quantitativamente più consistente delle transazioni quotidiane, ossia quello dei contratti tra professionisti e consumatori”.  
Il travaso in favore della lex specialis va contestualizzato nella necessità, particolarmente avvertita nel dinamismo contrattuale e commerciale moderno, di neutralizzare le asimmetrie informative che di volta in volta il contraente debole si trova a fronteggiare rispetto a professionisti, banche, intermediari finanziari, ecc. Sotto questo profilo, la funzionalizzazione “macroeconomica” della disciplina consumeristica alla correzione degli assetti di mercato, pur prendendo le distanze dalla visione tradizionalmente “microeconomica” della disciplina generale dei contratti, potrebbe essere assorbita dal Codice, invece di rimanere un corpo estraneo.
Ed è infatti proprio dalla “giustizia contrattuale”, dalla ricerca del bilanciamento tra le parti nella predisposizione degli assetti contrattuali, che l’Autore suggerisce alcuni profili di riforma, di ricodificazione, appunto: una ricostruzione organica ed unitaria che guardi alle condizioni generali di contratto, certo, ritagliando tuttavia delle eccezioni su misura delle esigenze del consumatore (e senza dimenticare che anche un imprenditore può essere contraente debole, qualora si parli di abuso di dipendenza economica). Infine, cenni di riforma sarebbero ipotizzabili anche in altri ambiti, dato il sapore anacronistico di istituti quali la garanzia per vizi nella vendita di diritto comune, la rescissione del contratto e i vizi del consenso.



§ 5. Claudio Belli, La conferma tacita dell’incarico conferito all’amministratore di condominio alla prova della giurisprudenza di merito. Verso la renovatio imperii?, in i Contratti, IPSOA, n. 2/2019
In tema di incarico dell'amministratore di condominio, l’attuale formulazione dell'art. 1129, comma 10, c.c.,stabilisce espressamente che esso “ha durata di un anno e si intende rinnovato per eguale durata”.  
La disposizione, tuttavia, ha sollevato sin dalla riforma dubbi interpretativi circa l'esatto regime di rinnovazione tacita del contratto di amministratore condominiale; dubbi che il contributo qui segnalato - prendendo le mosse da una recente sentenza di merito - ambisce a contestualizzare e risolvere. Le perplessità si riscontrano, in particolare, sul punto della costruzione negoziale del contratto (il rinnovo apre a “un nuovo contratto sebbene identico al precedente”, oppure a una proroga annuale del contratto originario?), e su quello della modulazione temporale e procedimentale del rinnovo (si tratta di un rinnovo automatico di anno in anno, e senza interruzioni? o è invece necessario un passaggio assembleare?).      
Dalle riflessioni dell'Autore sembrerebbe emergere, invero, una rinnovabilità dell'incarico automatica e senza interruzioni, che non risulterebbe scalfita né dalle confliggenti disposizioni dell’art. 1135 c.c. (sulla conferma assembleare dell’incarico), reputato come un “vero e proprio lapsus calami”, né da alcuni altri obblighi informativi previsti in capo all’amministratore (in quanto obblighi temporalmente e sistematicamente incongruenti).      
L’Autore propugna dunque “un meccanismo di conferma tacita che coinvolgerebbe tutti gli elementi del contratto ivi compresi gli obblighi informativi […] a cui le parti farebbero riferimento attraverso un rinvio per relationem nel momento perfezionativo (automatico), del nuovo contratto e, più precisamente, alla scadenza di ogni anno, senza necessità […] di deliberazione assembleare”.
Tuttavia, ed è questo l’ammonimento conclusivo, dal regime di conferma tacita così delineato bisogna comunque tenere distinta la cosiddetta prorogatio imperii, costruzione giurisprudenziale non più invocabile in quanto in palese contrasto con l’art. 1129, comma 8, c.c.  



§ 4. Marco Cian, L’economia immaginaria: spigolature, in Giurisprudenza commerciale, Giuffrè Francis Lefebvre, 45.3, 2018
L’Autore offre una panoramica dell’utopia (intesa come delineazione astrattiva di strutture e meccanismi giuridico-economici), evidenziando il percorso umano nella storia, tra reale e fantastico.
Il testo, ricco di riferimenti letterari e filosofici, prende le mosse dallo Stato platonico per arrivare gradualmente all’opera di astrazione tecnico-scientifica ottocentesca, dove l’utopia inizia a interrogarsi sul destino dell’uomo e della società.               
Nel Novecento, la riflessione fantastica si riveste infine di un monito distopico, soprattutto nelle occasioni in cui descrive uno scenario economico: la distopia capitalistica è declinata secondo le categorie dell’ “esasperazione del modello consumistico” (es. obsolescenza programmata, sistemi produttivi), dell’ “esasperazione del modello efficientistico di produzione” (es. graduale sostituzione di robot e intelligenza artificiale all’uomo) e dell’ “esasperazione del modello della grande impresa” (es. lettura profetica del ruolo delle online platforms).



§ 3. Emanuele Tuccari, La (s)consolante vaghezza delle clausole generiche per disciplinare l'eccessiva onerosità sopravvenuta, in Contratto e Impresa, CEDAM, n. 2/2018
Il saggio tratta il problema delle sopravvenienze nei contratti a prestazioni corrispettive, soffermandosi in particolare sull’eccessiva onerosità sopravvenuta, cioè quella tipologia di sopravvenienza consistente nello squilibrio del valore di mercato delle prestazioni.          
Dopo un excursus orientato a ricordare le teorie succedutesi nel tempo, l’Autore sottolinea come possibile soluzione l’utilizzo di clausole che favoriscano un ribilanciamento dell’assetto negoziale. Tra queste, trovano posto le clausole di recesso e quelle di adeguamento: le prime, mosse dall’intento di estinguere il rapporto; le seconde, di conservarlo.
L’analisi critica delle due tipologie è accomunata dallo sfavore espresso nei confronti delle pattuizioni “generiche”, siano esse di recesso o di adeguamento. La genericità, infatti, comporta indeterminatezza nell’individuazione dei presupposti applicativi e dei rimedi negoziali concretamente attuabili attraverso lo scioglimento o la rinegoziazione del rapporto.  Meglio, allora, propendere per clausole “specifiche”, capaci di assicurare maggiore certezza negoziale.      
Anche le clausole specifiche però - ammonisce l’Autore - presentano controindicazioni: sia che si tratti di risoluzione, sia che si tratti di adeguamento, la specificità della pattuizione può far perdere di vista il quadro d’insieme, accentuando lo sbilanciamento dell’assetto contrattuale.      
Anche al netto delle clausole che presuppongono l’intervento di un terzo (arbitraggio e compromissorie di arbitrato), pertanto, il saggio propone una via “intermedia” tra le due opposte istanze. Il focus è sulla tecnica redazionale e sul rapporto tra i remedies virtualmente ipotizzabili: sotto il primo profilo, gioca un ruolo centrale la capacità delle parti di individuare concretamente i presupposti applicativi delle clausole di riequilibrio contrattuale; sotto il secondo profilo, si propone come modello vincente quello delle clausole “miste”, capaci di offrire una gradualità tra la conservazione del rapporto contrattuale (adeguamento) e lo scioglimento del rapporto (recesso), avendo come stella polare la miglior tutela degli interessi delle parti.



§ 2. Paolo Efisio Corrias, La garanzia convenzionale nella vendita dei beni di consumo, in Contratto e Impresa, CEDAM, n. 2/2018
La garanzia "convenzionale", come noto, rappresenta un elemento ulteriore e aggiuntivo, a tutela del consumatore, rispetto alla protezione di base contro il difetto di conformità del prodotto, espressa dalla garanzia “legale”.              
L’Autore si sofferma su un’ampia analisi dell’art. 128 Cod. Cons. e, pur prendendo spunto dai requisiti di accessorietà e gratuità della garanzia convenzionale, afferma tuttavia l’estendibilità della disciplina di cui all’art. 133 Cod. Cons. anche alle garanzie (opzionali) a pagamento. Ciò al fine di favorire sia la trasparenza dei costi sia la tutela effettiva del consumatore.  
Segue una puntuale descrizione del profilo contenutistico della garanzia convenzionale, che si sofferma in particolare sulla sua natura pattizia. Chiudono il saggio alcune considerazioni in tema di: a) rapporto tra garanzia legale e garanzia convenzionale; b) vantaggi conferiti al consumatore dalla garanzia convenzionale; c) natura, fonti e contenuto minimo della garanzia convenzionale.



§ 1. John Cartwright, Il diritto inglese dei contratti. Una presentazione per il civil lawyer, in Contratto e Impresa, CEDAM, n. 3/2017
Nel presentare al giurista continentale il sistema anglosassone dei contratti, l’Autore si concentra su due direttrici: da un lato, illustra le caratteristiche generali del contratto d’oltremanica (con particolare riguardo alla nozione, agli obblighi derivanti per le parti e al ruolo delle corti); dall’altro, si sofferma sulle differenze sistematiche esistenti, in ambito contrattuale, tra Civil Law E Common Law.      
E proprio nella tradizione di Common Law si incardina la prima differenza tra i due ordinamenti: in Inghilterra sono le corti, e non la legge, ad aver sviluppato i principi fondamentali del diritto dei contratti. Tale elaborazione ha preso a riferimento il modello commerciale, usato come “base generale” per tutti contratti. Nonostante il “modello unitario”, la pluralità di esigenze sottese alla pratica contrattuale è generalmente salvata dalla prassi di redigere singole clausole specifiche.             
Per quanto riguarda le caratteristiche generali del contratto, una peculiarità della Common Law è l’assenza di un obbligo generale di correttezza (cioè di buona fede) nelle trattative: ogni parte cura esclusivamente i propri interessi, purché eviti misrepresentations (cioè le false dichiarazioni precontrattuali).   
Questa impronta “materialista” è peraltro riscontrabile anche nella dottrina della consideration, in base alla quale il contratto è visto essenzialmente come uno scambio suscettibile di valutazione economica, e nella disciplina del breach of contract e dei remedies

Disclaimer & Privacy
P.IVA 07340781009