Documento senza titolo
INFORMATION TECHNOLOGIES LAW | Our abstracts | The library of Graziadei Studio Legale | Updated to 18/09/2020



TABLE OF LATEST CONTENTS:

§ 19. Wanda D’Avanzo,
 Smart farming. La quarta rivoluzione industriale e la digitalizzazione del settore agricolo. 
§18. Stefano A. Cerrato, Appunti su smart contract e diritto dei contratti
§ 17. Nicola De Luca, Mario Passaretta, Le valute virtuali: tra nuovi strumenti di pagamento e forme alternative d’investimento
§ 16. Emilio Tosi, L’evoluzione della responsabilità civile dell’Internet Service Provider passivo e attivo
§ 15. Gea Arcella, Michele Manente, Le criptovalute e le loro contraddizioni: tra rischi di opacità e di eccessiva trasparenza


... Scroll down the page for previous bibliographic reports

VIEW OTHER SUBJECTS



§ 19. Wanda D’Avanzo, Smart farming. La quarta rivoluzione industriale e la digitalizzazione del settore agricolo, Diritto Agroalimentare, Giuffrè Francis Lefebvre, n. 2/2022

         

Il lavoro suggerisce l’idea che a beneficiare particolarmente del nuovo ‘modello digitale 4.0’ potrebbe essere, tra gli altri, il settore agroalimentare. L’Autrice articola la propria tesi attraverso un richiamo sia agli obiettivi di politica agricola comune europea (tra cui: sviluppo sostenibile, contrasto al cambiamento climatico, biodiversità), sia anche ad alcune delle principali innovazioni tecnologiche applicabili al settore (tra cui: Big Data e Internet of Things). 

 

Viene così tracciato il panorama attuale e programmatico dello Smart Farming come possibile risposta ad alcuni dei problemi di sostenibilità ambientale e alimentare.  



Il circolo virtuoso scaturito dal dialogo tra agricoltura e tecnologia potrebbe, da un lato, «mitigare l’impatto delle attività agroalimentari sull’ambiente naturale», dall’altro, «aumentare la produzione agricola, in modo più sostenibile, con costi inferiori, grazie alla disponibilità dei dati».     


Al centro del discorso si pongono pertanto i dati, intesi come informazioni, che rappresentano «la linfa vitale dei nuovi modelli organizzativi», costituendo il perno dell’innovazione, grazie all’impiego di algoritmi e machine learning, tecnologie che favoriscono, tra l’altro, «la gestione ottimizzata di ogni fase del ciclo produttivo». Di tali fattori abilitanti il lavoro offre una sintetica, ma efficace, descrizione.  


Tuttavia – avverte l’Autrice – se le prospettive applicative ed evolutive dello Smart Farming risultano in linea, e anzi potrebbero favorire, gli ambiziosi obiettivi del Green Deal europeo, il percorso non potrà che passare anche per una crescita delle competenze digitali delle imprese. Il rischio è che, altrimenti, nel settore agricolo, il «divario digitale» comporti una «concentrazione» in favore di «poche imprese, che possiedono le competenze e le risorse necessarie per applicare le tecnologie», tagliando fuori le aziende più piccole.   

  
Si sottolinea, in proposito, l’importanza del PNRR, «che offre una serie di agevolazioni a sostegno del lavoro delle imprese agricole», anche (e soprattutto) a fini di ammodernamento tecnologico. In chiusura, e da una più generale prospettiva di intervento giuridico, il lavoro, mettendo in luce il ruolo fondamentale del diritto come baluardo di libertà, auspica che, anche nella transizione digitale in corso, si possa raggiungere «una nuova visione d’insieme dei problemi della società». 

 

 

§18. Stefano A. Cerrato, Appunti su smart contract e diritto dei contratti, in Banca Borsa Titoli di credito, Giuffrè Francis Lefebvre, n. 3/2020
L’incontro tra diritto dei contratti e smart contract (strumento informatico ancor prima che giuridico) lascia emergere una contrapposizione tra l’intelaiatura umana del primo e l’automatizzazione del secondo.

Il lavoro qui segnalato intende riflettere, partendo anche da premesse di natura tecnologica, sul ruolo che l’ordinamento giuridico può attribuire allo smart contract in ambito negoziale.


L’Autore precisa subito che siamo di fronte a una grande novità: a differenza del contratto online (e-commerce), lo smart contract si basa sulla blockchain, ed è dunque puro linguaggio informatico.
Accanto a ciò, esso si caratterizza per disintermediazione, automatismo e stabilità.

Questi elementi lasciano intravedere, in prima battuta, un’era di maggior certezza negoziale (lo smart contract, ad esempio, elimina il rischio inadempimento). Tuttavia - il contributo ne discorre ampiamente - l’immodificabilità e la rigidità della tecnologia blockchain, e dunque dello smart contract, possono condurre a criticità significative.

Tra queste, l’Autore ricorda l’inadeguatezza di questo strumento a gestire operazioni negoziali complesse; o, ancora, l’incapacità dell’algoritmo di gestire in maniera ottimale quei parametri discrezionali spesso presenti in un contratto.

È soprattutto l’immodificabilità della tecnologia blockchain - al netto della sicurezza e dell’istantaneità da essa garantite - a destare alcune preoccupazioni, prima fra tutte l’inefficacia di fatto di uno scrutinio ex post sullo smart contract.

Non mancano poi, nel corso della trattazione, valutazioni più specifiche sulla possibilità di inquadrare lo smart contract come «veicolo di scambio delle dichiarazioni negoziali», o fonte di vincolo negoziale, o ancora «mezzo di attuazione» di un contratto in forma tradizionale. In questo senso, il suo ambito naturale sembra essere la fase dell’esecuzione contrattuale, dove l’algoritmo diventa una sorta di «variante, contrattualizzata ex ante» dell’autotutela.

Tra istanze umanistiche e digitali, emerge dunque una posizione sì critica nei confronti dello smart contract, ma senza che ciò comporti un rifiuto del progresso. L’Autore formula anzi alcune proposte in merito, auspicando comunque che non si cerchi nello smart contract una forma di autoregolazione del mercato, o di globalizzazione a tutti i costi dei fenomeni giuridici. Che non si  arrivi dunque a uno scenario in cui il codice informatico divenga «unica suprema legge»: è invece lo smart contract a doversi adeguare ai principi generali dell’ordinamento giuridico, affinché l’uomo possa «avvantaggiarsi in modo ordinato dei progressi tecnologici».



§ 17. Nicola De Luca, Mario Passaretta, Le valute virtuali: tra nuovi strumenti di pagamento e forme alternative d’investimento, in Le Società, IPSOA, n. 5/2020           
Commentando una sentenza del TAR Lazio in materia di valute virtuali, il lavoro qui segnalato svolge una critica all’impostazione secondo la quale esse debbano considerarsi beni ex art. 810 c.c.. Preferibile appare, per gli Autori, qualificare le valute virtuali come strumenti di pagamento o di investimento, a seconda dello specifico impiego che ne è fatto.         
Questa tesi, sostenuta anche dall’ «approccio economico-funzionale» della European Banking Authority, apre la strada a un’analisi critica tanto dell’impostazione unitaria della direttiva antiriciclaggio europea, quanto delle incertezze qualificatorie derivanti dalla normativa nazionale.
Il contributo filtra poi la qualificazione delle valute virtuali come mezzo di pagamento alla luce delle teorie statale e sociale della moneta, trovando tracce di una loro (pur limitata) qualificazione monetaria nelle posizioni assunte da alcune Autorità di Vigilanza europee (oltre che in alcune pronunce giurisprudenziali). La valuta virtuale come forma d’investimento, invece, richiama a livello nazionale l’ambito definitorio del TUF: se è da escludere che le valute virtuali siano strumenti finanziari, il TUF non esclude invece che esse possano essere considerate come prodotti finanziari.



§ 16. Emilio Tosi, L’evoluzione della responsabilità civile dell’Internet Service Provider passivo e attivo, in Il diritto industriale, IPSOA, n. 6/2019    
Commentando una recente sentenza della Suprema Corte in tema di tutela IPRs su reti di comunicazioni elettroniche (Cass. 7708/2019), il contributo ricostruisce il quadro evolutivo della responsabilità civile delle principali figure che operano sulla rete, fra le quali i fornitori di rete, di servizi e di contenuti. L’Autore le classifica nelle tradizionali categorie di ‘mere conduit’, ‘caching’ e ‘hosting’, delineando in relazione a ciascuna lo spettro applicativo dell’esonero da responsabilità.
Focalizzandosi sugli ‘hosting provider’, il lavoro illustra quindi la rilettura giurisprudenziale delle norme, che come noto ha portato al riconoscimento del cosiddetto ‘hosting attivo’, cioè il provider di servizi che si ingerisce nell’elaborazione e nella presentazione dei contenuti caricati dagli utenti. E’ questa una «figura atipica, eccentrica rispetto alla normativa speciale vigente in materia di responsabilità degli ISP, e per tale ragione sottratta a tale regime speciale e riconducibile a quello ordinario», come riconosciuto in varie occasioni anche dalla Corte di Giustizia e dalla Commissione europea.         
Tale figura, «frutto dell’evoluzione tecnologica» successiva alla direttiva e-commerce, trova appunto una nuova conferma nella sentenza della Suprema Corte commentata, di cui l’Autore dà conto illustrando peraltro anche gli obblighi di filtraggio ex post e il rapporto fra conoscenza della manifesta illiceità del contenuto da parte dell’ISP e la responsabilità del medesimo. Su quest’ultimo punto, in particolare, si invoca un passaggio legislativo che porti ad «una procedura uniforme per integrare gli estremi della conoscenza effettiva». 
Merita menzione, infine, anche il passaggio sull’intersezione fra la disciplina degli ISP e la nuova direttiva copyright, nonché fra la prima ed il GDPR.



§ 15. Gea Arcella, Michele Manente, Le criptovalute e le loro contraddizioni: tra rischi di opacità e di eccessiva trasparenza, in Notariato, IPSOA, n. 1/2020
Il lavoro propone una ricognizione del fenomeno ‘criptovalute’ e della tecnologia sottostante – la blockchain – nel tentativo di fare chiarezza sui potenziali rischi di eccessiva segretezza e, viceversa, di eccessiva trasparenza delle operazioni in valute virtuali.
Sotto il profilo strettamente giuridico, si contrappongono dunque due interessi contrapposti: la riservatezza degli utenti di criptovalute, da un lato, e la prevenzione dell’utilizzo di tale strumento a fini di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, dall’altro.        
Prima di entrare nel vivo della questione, gli Autori offrono una ricostruzione della tecnologia blockchain – e della sua struttura tendenzialmente aperta e basata su «registro informatico distribuito» – funzionale al successivo inquadramento giuridico delle valute virtuali fondate su quella tecnologia. Nello specifico, viene preso in esame il caso del Bitcoin, comunque esemplificativo della maggioranza delle criptovalute: esso è un bene immateriale o uno strumento di pagamento? La domanda non è banale, e la classificazione nell’una o nell’altra categoria dispiega conseguenze, a valle, sulla natura degli scambi a mezzo di valute virtuali.            
Il tema centrale resta comunque quello dell’anonimato garantito dal sistema Bitcoin, e gli Autori, analizzando la disciplina nazionale ed europea in tema di prevenzione del riciclaggio, sostengono che gli obblighi di identificazione antiriciclaggio imposti agli operatori della filiera Bitcoin, come gli exchanges e i wallet providers, sono un passo nella giusta direzione, ma di per sé non ancora sufficiente.           
Il rischio persistente è quello di una massimizzazione della privacy, con conseguente tracciamento solo informatico delle operazioni in Bitcoin ed impossibilità di un’identificazione della ‘persona dietro al monitor’. Allo stesso tempo, tuttavia, il disegno opposto, cioè la massimizzazione della trasparenza del sistema blockchain, renderebbe pubblicamente identificabile il soggetto che effettua una determinata operazione. Il contemperamento di queste due contrapposte esigenze – concludono gli Autori – si gioca quindi su un equilibrio sottile, e al momento non ancora raggiunto.



§ 14. Giulia Bazzoni, La libertà di informazione e di espressione del pensiero nell’era della democrazia virtuale e dei global social media, in Diritto di Internet, Pacini Giuridica, n. 4/2019
Quello della libertà di informazione e di espressione in internet non è certo un tema nuovo, eppure la continua evoluzione tecnologica richiede necessariamente una verifica periodica dello stato dell’arte. In questo senso l’articolo qui segnalato ha il pregio di passare sinteticamente in rassegna molte delle tematiche principali, dalle filter bubble alla profilazione, dagli algoritmi alle fake news, cercando di valutare in chiave dubitativa se internet rappresenti il «nuovo foro del costituzionalismo… virtuale ed ubiquo». Di qui gli echi orwelliani con cui l’Autrice illustra il ruolo di gate keepers degli intermediari della online democracy – motori di ricerca e social media – i quali, mediante uno studiato posizionamento algoritmico dei risultati, possono influenzare la formazione dell’opinione pubblica.
Ma se la libertà di informazione e di espressione sono presupposto e fondamento della democrazia, allora è necessario far sì che internet non diventi, invece che una piattaforma abilitante di questi diritti nella società digitale, uno strumento di «controllo occulto».     
Sul punto, l’auspicio dell’Autrice è che i presidi regolamentari sappiano declinarsi in funzione del fenomeno tecnologico, in attesa dell’emanazione di una vera e propria Carta dei diritti digitali.



§ 13. Ida D’Ambrosio, La tutela del consumatore nei pagamenti elettronici e la nuova direttiva europea PSD2, in Notariato, IPSOA, n. 6/2019
Il mondo della finanza sta vivendo un periodo di importanti cambiamenti, e uno di questi è l’ormai diffusa digitalizzazione dei pagamenti, incentivata peraltro dalla recente direttiva PSD2. Il lavoro in commento si propone quindi di offrire alcuni spunti di riflessione sui principali profili giuridici interessati dal fenomeno, fra i quali la privacy degli utenti, la sicurezza, i costi e i tempi dei pagamenti e l’accountability dei soggetti coinvolti.      
L’Autrice rileva in tal senso l’importanza di un corretto bilanciamento fra crescite dell’innovazione nei servizi e tutela dei consumatori, e in tal senso risultano determinanti sia la user experience fornita dal commercio elettronico sia l’affidabilità dei protocolli utilizzati dai provider.     
La PSD2, di cui il contributo offre un’agevole panoramica, ha del resto un obiettivo chiaro: la protezione consumeristica e la concorrenza nei sistemi di pagamento vanno di pari passo, sotto l’egida dell’Open Banking, «un modo di “fare banca” che presumibilmente sta già mettendo in discussione le vecchie logiche e gli equilibri più tradizionali».



§ 12. Domenico Fauceglia, Il deposito e la restituzione delle criptovalute, in I Contratti, IPSOA, n. 6/2019      
A valle dell’articolato dibattito sulla qualificazione giuridica delle valute virtuali, la dottrina si sta interrogando anche su alcuni ulteriori temi legati alla loro circolazione, e tra questi gli obblighi di custodia e di restituzione delle valute depositate dagli investitori negli e-wallets.       
La questione, affrontata nel contributo a partire da una sentenza del Tribunale di Firenze, presuppone un passaggio circa la natura della cripto-currency, fattispecie che la dottrina considera alla stregua di un bene digitale fungibile, un prodotto finanziario atipico e non puntualmente regolato sotto il profilo genetico e di intermediazione.        
La riconducibilità al prodotto finanziario, in effetti, convince l’Autore soprattutto grazie alle caratteristiche intrinseche dell’investimento in valuta virtuale, quali l’utilizzo di capitale, il rischio connesso all’operazione e l’aspettativa di un rendimento. Da ciò discende, in linea generale, l’applicabilità di talune norme in materia di intermediazione finanziaria ai soggetti che svolgono professionalmente l’attività di collocamento di criptovalute. Un ragionamento più puntuale è poi svolto sull’attività di custodia delle valute virtuali da parte del gestore della piattaforma (il depositario), con particolare riferimento all’ipotesi in cui esso risulti inadempiente ai propri obblighi. In tal senso, la predetta ricostruzione del fenomeno (bene digitale fungibile) apre la strada alla restituzione del «tantundem eiusdem generis et qualitatis»: si legge infatti nella nota che «il depositario è … obbligato a ricostituire l’effettiva disposizione delle cose in capo al depositante». La diligenza richiesta al gestore della piattaforma risulta dunque, in buona sostanza, funzionale alla custodia e alla restituzione di cose fungibili, obblighi declinati in questo caso sotto un profilo strettamente tecnologico (identificazione degli utenti mediante IP, separazione degli e-wallet di ciascun cliente ecc).



§ 11. Marco Cian, La criptovaluta – Alle radici dell’idea giuridica di denaro attraverso la tecnologia: spunti preliminari, in Banca Borsa Titoli di credito, Giuffrè Francis Lefebvre, n. 3/2019    
Obiettivo di fondo del lavoro qui segnalato è offrire al lettore una ricognizione del panorama e dello status delle criptovalute all’interno del panorama monetario.     
Se è evidente che la criptovaluta si caratterizzi per elementi di rottura rispetto alla tradizione economico-giuridica – è il caso, per esempio, del suo momento genetico, in cui all’assenza di un’entità emittente centrale supplisce la regola informatica, capace di creare scarsità della risorsa – più complesso risulta, invece, qualificare il fenomeno sotto il profilo delle funzioni monetarie. In tal senso, afferma l’Autore, esiste perfino incertezza sulla riconducibilità della criptovaluta alla moneta: in particolare, se la funzione di bene intermediario sembra presente nell’esperienza di Bitcoin et similia, viceversa la funzione di unità di misura del valore dei beni continuerebbe ad essere prerogativa della moneta avente corso legale. L’assimilazione è poi ulteriormente complicata dal fatto che è lo stesso concetto giuridico di moneta a registrare zone grigie, sotto i profili genetici, documentali e funzionali. Ne scaturisce un’indagine sul fenomeno monetario in senso generale, tra territorialità e sovranità, materialità e funzionalità, in cui a una stringente visione del denaro come garante dell’’ «integrità del capitale» se ne contrappone una più ampia, in cui il denaro è assimilabile allo strumento di pagamento delineato dal TUF.     
Poste le divergenti classificazioni, l’Autore, pur prediligendo una considerazione della criptovaluta come bene digitale, e non quale denaro in senso stretto, giunge a una valutazione «quantistica» della criptovaluta, la quale può o non può essere considerata “moneta” in funzione della definizione che di quest’ultimo termine si prende a modello.     
A prevalere, ad ogni modo, sono le incertezze dettate da un panorama normativo non ancora maturo, in relazione al quale emergono da ultimo alcuni spunti per il futuro: si profila forse il superamento della sovranità monetaria? e, ancora l’attenzione sarà forse rivolta più al fenomeno finanziario, che a quello specificamente monetario?  


§ 10. Marialuisa Gambini, Algoritmi e sicurezza, in Giurisprudenza italiana, UTET Giuridica, luglio 2019
L’utilizzo degli algoritmi nella produzione di beni, nella prestazione di servizi e nel trattamento di dati personali, sempre più diffuso, ha recentemente smosso un intenso dibattito sulla sicurezza di tali sistemi e sulla prevenzione dei rischi legati alla nascente «società dell’algoritmo». Il contributo qui promosso prova quindi a racchiudere in un unico testo riflessioni legate non solo al contesto tecnologico ed economico, ma anche a quei diritti fondamentali (come la privacy e la dignità) spesso messi alla prova dal funzionamento della data driven economy.        
Per l’Autrice, le parole chiave dalle quali partire, per far fronte all’innovazione portata dai più recenti sviluppi della robotica, dell’Internet of Things, del machine learning, sembrano essere ‘prevenzione’ e ‘precauzione’. E’ quanto emerge in particolare dall’analisi del quadro normativo europeo in materia di controlli sulle nuove tecnologie. La Direttiva e-commerce, e la più recente Direttiva Copyright, pur non arrivando ad imporre dei veri e propri obblighi di sorveglianza, prevedono ad esempio alcuni obblighi di carattere preventivo, come il filtraggio dei contenuti. 
Anche il trattamento dei dati personali previsto dal nuovo Regolamento Privacy, del resto, è improntato al principio di responsabilità, a quel ‘privacy by design’ che richiede sforzi e attenzione costanti da parte di chi progetta, realizza e gestisce i sistemi che incamerano il flusso costante di dati. E ciò, sostiene l’Autrice, in quanto gli algoritmi sono «sempre più utilizzati per assumere decisioni, compiere profilazioni o analisi predittive», al punto da poter influenzare i comportamenti e le scelte (politiche, di consumo, ecc.) degli utenti della rete.         
La «manipolazione algoritmica» genera perdita di controllo sui dati e richiede perciò «adeguati meccanismi di tutela della privacy e, più in generale, dei diritti e delle libertà degli individui». E questo soprattutto in settori caratterizzati da particolare innovatività, come l’Intelligenza Artificiale. Sotto quest’ultimo profilo, il saggio cita con favore gli Orientamenti etici sull’AI della Commissione europea (che spingono per una visione umano-centrica dello sviluppo dell’Intelligenza Artificiale), ma allo stesso tempo afferma la necessità di affiancare agli strumenti di soft law anche una regolazione più stringente, capace cioè di predisporre (almeno in teoria) quella sicurezza necessaria alla corretta gestione degli algoritmi.    



§ 9. Lorenzo Isacco, Social network ed imprese, la sfida quotidiana che nasce dai giovani, in Il Diritto industriale, Wolters Kluver, n. 2/2019      
Obiettivo del saggio in commento è stimolare le piccole e medie imprese ad utilizzare con maggiore consapevolezza e padronanza gli strumenti della convergenza digitale. La possibilità di raggiungere con il proprio messaggio commerciale milioni di persone è a portata di mano, eppure per incrementare la web reputation e il return on investment non basta essere presenti sulle più moderne piattaforme. “Lo switch dall’analogico al digitale è necessario, è semplice ed è economico, ma non banale” afferma infatti l’Autore.    
A corredo di questa tesi vi sono argomentazioni e suggerimenti operativi. La misurabilità e la visibilità del digital marketing, il maggior engagement raggiungibile grazie alla data analysis, e i costi ridotti della pubblicità online rispetto ai media tradizionali, rendono la rete – e i social network in particolare – un’opportunità da cogliere per incrementare il business. Perché no, conclude l’Autore, con un occhio di riguardo verso le nuove generazioni, parametro di riferimento non solo per lo studio delle problematiche legate ai nuovi mezzi di comunicazione (come il cyberbullismo), ma anche per un utilizzo vincente di tali mezzi in ambito commerciale.



§ 8. Giovanni Rinaldi, Approcci normativi e qualificazione giuridica delle criptomonete, in Contratto e Impresa, Cedam, n. 1/2019 
Le criptovalute – fenomeno economico caratterizzato da una tendenziale espansione e da notevoli oscillazioni di valore – stanno impegnando l’ordinamento nell’identificazione di una possibile qualificazione giuridica. Ed è su questo complesso dibattito che il saggio qui considerato cerca di fare luce, non solo tramite un intento cosplay anime classificatorio, ma anche attraverso un’indagine di stampo giuridico-tecnico sulla blockchain, cioè sulla tecnologia di registro distribuito che sorregge la creazione e lo scambio delle principali monete virtuali.  
La blockchain, infatti, si presenta come commistione di crittografia, reti distribuite, algoritmi di consenso, teoria dei giochi e politica monetaria: una tecnologia giovane che opera su un terreno privo di confini nazionali, la rete internet.     
Da questa considerazione deriva, come logica conseguenza, una metodologia dell’Autore improntata alla comparazione tra esperienze giuridiche differenti, nel tentativo di ricavare quel minimo comun denominatore in grado di normare con compiutezza non soltanto la blockchain (il fenomeno tecnologico), ma anche la sua diretta applicazione cripto-valutaria (Bitcoin ecc.).  
Prendendo le mosse da considerazioni di carattere tecnico, il contributo dà quindi conto dei principali profili giuridico-economici legati a un modello, quello del distributed-ledger, privo di un ente sovraordinato: tra questi, la sicurezza del meccanismo e la privacy degli utilizzatori, due aspetti potenzialmente confliggenti alla luce del GDPR in quanto, all’aumentare della tracciabilità delle operazioni, diminuisce la riservatezza degli operatori e viceversa.
Tuttavia, sono soprattutto le riflessioni legate alla natura della criptovaluta a interessare l’Autore. La base di partenza è che “nessun legislatore, sino ad oggi, ha attribuito potere solutorio legale a una qualsiasi criptomoneta”. Nonostante questo fattore comune, le scelte normative internazionali non sono state univoche: la criptovaluta è stata infatti considerata ora un mezzo (convenzionale) di pagamento, ora un mezzo di scambio. Sul punto il contributo offre peraltro un’ampia ed accurata disamina, citando gli indirizzi regolatori giapponese, statunitense, russo, maltese ed euro-unitario. Si segnala in tal senso come particolarmente significativo proprio l’esempio europeo, che ha interessato con posizioni differenti la BCE (propensa a ritenere la criptovaluta un mezzo di scambio) e la Corte di Giustizia (che si è espressa nel senso di un mezzo di pagamento). Tra le due strade ha finito per prevalere, almeno per il momento, quella tracciata dalla BCE, seguita successivamente anche dalla Direttiva 2018/843/UE.



§ 7. Silvia Minà, Il Regolamento Netflix e il libero accesso ai servizi a contenuto digitale, in Contratto e impresa/Europa, Cedam, 2018      
I vertici UE sembrano ben consapevoli del fatto che “fiducia nella tecnologia” e “uniformità normativa” siano i concetti chiave per coinvolgere i cittadini-consumatori nel processo (ancora in atto) di unificazione del mercato digitale europeo.        
Sotto questo profilo, il Regolamento portabilità - c.d. “Netflix” (Reg. UE 2017/1128) - rappresenta per l’Autrice l’ultima tappa di un percorso che ha inizialmente visto nelle Comunicazioni della Commissione UE gli strumenti idonei a porre le basi di un ambiente digitale stabile, sicuro e soprattutto, dotato di regole uniformi.      
Ecco, quindi, che l’Autrice colloca il Regolamento Netflix in un contesto eurounitario (la “Strategia tre volte vincente”) di cui fanno parte anche il Regolamento roaming (Reg. 2015/2120) e il Regolamento geoblocking (Reg. 2018/302). Un contesto coerente e caratterizzato da un obiettivo preciso, cioè liberalizzare la rete digitale. 
In particolare, si legge nel saggio, il Regolamento Netflix pone “regole precise e funzionali alla libera fruizione di servizi a contenuto digitale in tutto il territorio dell’Unione”. E lo fa, peraltro, oltrepassando mediante una ingegnosa fictio iuris il più importante ostacolo alla portabilità (cioè la territorialità del copyright sui contenuti digitali): l’art. 4 del Regolamento, infatti, istituisce un meccanismo in base al quale la prestazione del servizio (lato fornitore) e l’accesso e la fruizione al contenuto (lato consumatore), anche se effettuati in uno Stato membro in cui il consumatore si trovi temporaneamente, si considerano comunque avvenuti nello Stato membro di residenza del consumatore stesso. Un trucco che consente, perciò, di salvare la territorialità del diritto d’autore, aprendo però finalmente alla portabilità transfrontaliera.  
Ma non è questa l’unica mediazione di un Regolamento che sembra vivere di un “compromesso fra gli interessi del titolare del diritto d’autore, del fornitore dei servizi online e dell’abbonato”: in tal senso - ed è questa la conclusione - la tenuta dell’impianto regolatorio andrà valutata nel tempo anche, e soprattutto, in relazione al coordinamento tra libera circolazione (fornitore), tutela della proprietà intellettuale (titolare) e privacy (abbonato).



§ 6. Emanuela Andreola, Gli acquisti online del minore tra invalidità dell’atto e responsabilità dei genitori, in Contratto e impresa, Cedam, n. 2/2018
Il saggio si sofferma sulla fattispecie degli acquisti online effettuati dal minore, con una pregevole ricostruzione del fenomeno e-commerce, anche con riferimento alle condizioni generali di contratto e al momento della conclusione del contratto (distinguendo, in tal senso, tra offerta al pubblico, da un lato, e proposta e accettazione, dall'altro: point and click ed e-mail).         
Segue poi una panoramica in chiave comparatistica della vincolatività del contratto per il minore (es. la teoria dell’utilità del contratto, i “necessaries”), con una riflessione sulla possibilità di estendere le tradizionali regole dell’annullabilità anche al mondo online (a seconda che il minore concluda o meno il contratto a proprio nome).   
L’autrice auspica, infine, l’introduzione di accorgimenti tecnologici volti a una maggiore certezza del commercio online e alla protezione del contraente debole, oltre a una più effettiva educazione digitale da parte dei genitori.



§ 5. Anna Pirozzoli, Il libero accesso alla Rete: un diritto in espansione, in Il diritto dell'informazione e dell'informatica, Giuffrè Editore, n. 2/2018          
Al centro del saggio vi è una riflessione circa l’influenza che il contesto normativo e infrastrutturale dell’accesso alla rete esercita oggi sul pieno sviluppo dell’individuo. In particolare, partendo dalle iniziative volte a consentire un accesso a internet gratuito e libero nei luoghi pubblici (come, per esempio, WiFi4EU), l’Autrice fa il punto sulle politiche europee per la riduzione del digital divide e per il raggiungimento di una “uguaglianza digitale”.           
In tal senso, le iniziative comunitarie tendono a potenziare le “strutture di supporto tecnologico”, elemento base per assicurare ai cittadini pari opportunità culturali, professionali e commerciali in internet. Lo spazio virtuale, del resto, fa parte della quotidianità non soltanto ricreativa, ma anche culturale (accesso digitale al patrimonio artistico) e politica (e-democracy) del cittadino. Ma la democrazia partecipativa digitale non è priva di rischi: fenomeni come la profilazione dei dati personali, il diffondersi delle fake news e la personalizzazione delle ricerche effettuate online possono creare una “bubble democracy”, in cui a venir meno sono il confronto di idee e l’uniformità della partecipazione.   
Il ragionamento sull’accesso alla rete porta poi con sé alcune riflessioni in tema di net neutrality, e un confronto tra lo smantellamento della neutralità statunitense (avvenuto di recente sotto il Presidente Trump) e il mantenimento della regolamentazione comunitaria (in Europa la net neutrality richiama il concetto di servizio universale).  
Il saggio si conclude con alcune considerazioni in tema di costituzionalizzazione della rete, in realtà non necessaria grazie alla lungimirante “capacità inclusiva” dell’art. 21 (con l’espressione “…ogni altro mezzo di diffusione”), e in tema di investimenti statali, propedeutici a una maggiore alfabetizzazione digitale e al potenziamento delle infrastrutture di rete.   



§ 4. Andrea Stazi, I multiformi approcci dei Paesi dell'Asia estremo-orientale e dell'Oceania alla responsabilità degli intermediari online: una panoramica comparatistica da una prospettiva occidentale, in Il diritto dell'informazione e dell'informatica, Giuffrè Editore, n. 2/2018      
Gli intermediari online, piattaforme che utilizzano le tecnologie digitali per attività tra loro eterogenee, sono accomunate dal ruolo di finestra globale: essi rappresentano, cioè, un punto di contatto tra l’individuo e lo sconfinato mondo circostante, facilitando le interazioni tra i miliardi di persone che utilizzano i loro servizi. 
Parlare di intermediari online porta con sé una riflessione circa la responsabilità dei medesimi per i contenuti veicolati sulle loro piattaforme, ed è questo il punto di partenza del saggio in un bilanciamento tra necessità di policy e spinta all’innovazione dei servizi.   
Gli approcci regolatori di un fenomeno virtuale in costante espansione e caratterizzato da esternalità di rete, ricorda l’Autore, risultano essere di vario genere, ma conducono in particolare a due metodi principali: l’inglobamento delle piattaforme nella regolazione generale, oppure la creazione di un set di regole appositamente pensate per gli intermediari. È quest’ultima, per esempio, la via scelta dal Paese apripista (gli Stati Uniti), che ha lasciato prosperare le imprese digitali grazie a un liability system permissivo, improntato al “safe harbor”.   
Ma la varietà delle scelte regolatorie si manifesta anche e soprattutto nell’ampia parentesi che il saggio dedica ai Paesi dell’Asia e dell’Oceania: la panoramica delle esperienze giapponesi, cinesi, australiane, thailandesi, per citarne alcune, lascia intravedere meccanismi giuridico-tecnologici che, nell’affrontare lo stesso fenomeno, sono un manifesto di eredità politiche e culturali differenti. 
Più in generale, come evidenzia anche il confronto tra la regolazione statunitense ed europea (la prima incentrata sul bilanciamento tra protezione degli intermediari e interessi dell’industria dei contenuti, la seconda ancorata alla liability exemption della Direttiva e-commerce), le novità digitali aprono a nuove e complesse sfide: in tal senso, alla legislazione nazionale e sovranazionale possono affiancarsi linee guida, modelli di co-regolazione o sistemi di enforcement basati su incentivi simmetrici e asimmetrici, in un contesto in cui a fare la differenza sono anche l’ “apprendimento reciproco” tra esperienze nazionali e una maggiore conoscenza del fenomeno digitale da parte degli utenti.



§ 3. Valerio Moscatelli, Contratto di rete e network contract, in Contratto e Impresa, CEDAM, n. 2/2018
Il contratto di rete, strumento negoziale capace di agevolare la pianificazione degli investimenti e delle attività da parte delle piccole e medie imprese, risulta particolarmente prezioso in un mercato caratterizzato da crescente competitività. L'Autore analizza il fenomeno in chiave critica, ricostruendolo in prima battuta come “contratto plurilaterale con comunione di scopo”, tra nuova tipologia contrattuale e assimilazione a contratti preesistenti, come il consorzio.                          
Il saggio pone una distinzione tra “reti interne”, cioè quelle in cui il vincolo si esaurisce nei rapporti tra le imprese partecipanti, e “reti esterne”, in cui è presente invece un’attività rivolta ai terzi. Questa suddivisione si collega peraltro al tema della soggettività della rete, che ruota attorno all’autonomia patrimoniale, all’esteriorizzazione del vincolo e all’organizzazione interna.          
Altro argomento toccato dall’Autore è la natura giuridica della pubblicità della rete, considerata come dichiarativa, e non costitutiva.
Da ultimo, il saggio si sofferma in chiave comparatistica sull’esperienza anglosassone del “network contract”, definito come contratto relazionale tra imprese avente un interesse collettivo sovraordinato rispetto agli interessi particolari. 



§ 2. Roberto Bocchini, Matteo Montanari, Le nuove disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo, in Le nuove leggi civili commentate, CEDAM, n. 2/2018
Il delicato tema del cyberbullismo è affrontato dagli Autori in primo luogo mediante una riflessione sulla complessità definitoria del fenomeno e sulle differenze tra bullismo “online” e bullismo “offline”. Si sottolineano, in particolare, i potenziali maggiori pericoli derivanti da alcune caratteristiche legate alla traslazione del fenomeno su rete; ciò soprattutto in termini di diffusione del messaggio, di anonimato garantito al cyberbullo, di ambito spazio-temporale del comportamento lesivo e di interazione a catena.
A una dettagliata analisi della Legge 71/2017, volta a prevenire il cyberbullismo anche attraverso meccanismi educativi e ad accelerare il meccanismo di oscuramento o rimozione dei contenuti lesivi presenti in rete, segue una ricostruzione della disciplina contenuta nel Codice delle comunicazioni elettroniche in merito alla regolazione degli Internet Service Provider (perciò, artt. 14, 15, 16): ciò nell’ottica di escludere la compatibilità tra le figure dei provider “mere conduit”, “caching” e “hosting” e il soggetto “gestore del sito internet” previsto dalla Legge 71/2017.
Nell'allontanare il terreno della discussione dall’ambito tecnico e nell'avvicinarlo a quello fattuale, il saggio identifica il soggetto “gestore del sito internet” con la figura professionale del webmaster.     
Gli Autori affrontano poi il meccanismo predisposto dalla legge per neutralizzare la portata dei contenuti lesivi, con il ruolo attribuito al Garante Privacy: l'intervento dell’Authority può riequilibrare il poco tempo concesso al gestore del sito per la valutazione di contenuti complessi, che possono porsi al limite tra atteggiamento aggressivo e semplice critica. Anche i tempi concessi al garante sono però quelli di una valutazione sommaria, e gli Autori sottolineano che un meccanismo più simile alla counter notice statunitense avrebbe giovato al bilanciamento di interessi.   
Il saggio si sofferma, infine, su tematiche ancora aperte come quelle degli URL e dei live streaming. Sotto il primo profilo, la necessità di indicare l’URL nella richiesta di rimozione del contenuto, se da un lato facilita le operazioni da parte del gestore, dall’altra non assicura che il contenuto sia rimosso completamente dalla rete (il cyberbullo potrebbe infatti semplicemente spostare il contenuto su un altro indirizzo). Sotto il secondo profilo, le video dirette rappresentano ormai una realtà molto diffusa nel panorama dei siti internet e dei social media, ma risultano escluse dalla disciplina, potendo perciò ancora essere facilmente utilizzate come strumento di diffusione di contenuti legati al bullismo. 



§ 1. Carmelita Camardi, L’eredità digitale. Tra reale e virtuale, in Il diritto dell’informazione e dell’informatica, Giuffrè Editore, n. 1/2018
Nel delineare le prospettive del tema trattato, il saggio prende le mosse dalla definizione di “eredità”, concetto che tradizionalmente contrappone una sfera “oggettiva” (diritti trasmissibili) a una sfera “soggettiva” (elementi intrasmissibili). Il digitale sembra stravolgere questa suddivisione, rendendo esternabili (e perciò trasmissibili) anche aspetti della sfera soggettiva della persona: i dati personali, una volta immessi in rete, vanno a costruire il concetto di identità digitale.      
Il piano dell’eredità digitale è, secondo l’Autrice, duplice. Un primo ambito è quello dell’archiviazione del dato: a fronte di documenti e file conservati su un supporto materiale (per esempio, una chiavetta USB), esistono dati personali generati dal de cuius nella sua attività online: mentre i primi sono trasmissibili insieme al supporto materiale su cui sono incorporati, i secondi consistono in un’esternazione della personalità, e pertanto non sono ereditabili “materialmente”.   
All’interno di tale seconda categoria, si distingue poi ulteriormente tra: a) dati digitali generati dal de cuius nel corso di rapporti tipicamente contrattuali (per esempio, e-commerce: tali dati assumono rilievo successorio se vanno oltre la singola transazione e consistono in un rapporto duraturo); b) dati generati nel corso di rapporti su social network e piattaforme similari (attengono all’estrinsecazione della personalità); c) dati generati nel corso di rapporti diretti alla fruizione di servizi di posta elettronica. L’ereditabilità di tali categorie di beni digitali dipende essenzialmente dalle previsioni delle condizioni generali di contratto del provider: se la clausola di subentro è prevista, l’account potrà essere trasferito agli eredi, altrimenti i dati diventeranno indisponibili e intrasmissibili (salva la tutela dell’onore e della reputazione del de cuius da parte dei suoi congiunti).

Disclaimer & Privacy
P.IVA 07340781009