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L’estinzione della società implica una tacita rinuncia ai crediti già azionati?
L’ordinanza interlocutoria della Cassazione n. 16477/2024 rinvia il tema alle Sezioni Unite

31/07/2024

Con la recente ordinanza interlocutoria n. 16477/2024, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la questione attinente «alla possibilità di configurare la tacita rinuncia dei crediti della società, non compresi nel bilancio finale di liquidazione, come effetto automatico della cancellazione della stessa dal registro delle imprese, con conseguente estinzione», in pendenza del giudizio teso a far accertare tali crediti.



I principali elementi costitutivi della fattispecie, oggetto di valutazione, appaiono perciò:

 

a) l’avvenuta cancellazione della società dal registro delle imprese, con conseguente estinzione;

 

b) la presenza di un giudizio ancora in corso, con cui la società estinta intendeva far accertare un proprio credito;

 

c) l’eventualità che la cancellazione della società dal registro possa automaticamente produrre la tacita rinuncia a tale credito.

  

Sul tema – sottolinea l’ordinanza – sussiste un contrasto di indirizzi giurisprudenziali.



Il primo di tali indirizzi, espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 6071/2013, sottolinea che, laddove al momento dell’estinzione della società risultino ancora in essere alcuni rapporti giuridici della società stessa, si verifica un fenomeno successorio, in favore dei soci, dei diritti e dei beni «non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta», a eccezione però delle pretese azionate o azionabili in giudizio e dei crediti incerti. 

 

Rispetto a tali pretese e crediti opererebbe, infatti, una presunzione di rinuncia da parte della società, che avrebbe preferito non portare a compimento le attività giudiziali o stragiudiziali volte a ottenere il credito al fine di favorire la rapida conclusione del procedimento estintivo. 

 

La tesi della tacita rinuncia alla pretesa creditoria è stata ripresa da alcune sentenze successive della Cassazione, tra cui:

 

- la n. 25974/2015, che afferma che l’estinzione della società, conseguita alla cancellazione dal registro delle imprese, se si verifica in corso di giudizio, «non determina il trasferimento della corrispondente azione» in favore dei soci, poiché dal fenomeno successorio che interessa la società restano appunto fuori le mere pretese, anche già azionate, e i diritti ancora incerti che necessiterebbero della finalizzazione dell’accertamento giudiziale;

 

- la n. 15782/2016, che afferma che la cancellazione volontaria della società dal registro delle imprese, effettuata in pendenza di un giudizio risarcitorio, lascia ritenere che la società «abbia tacitamente rinunciato alla pretesa relativa al credito»; «tale presunzione comporta che non si determini alcun fenomeno successorio», pertanto i soci della società non saranno legittimati ad agire in giudizio.

 

Tale tesi, ritiene l’ordinanza in commento, pare tuttavia determinare alcune criticità, tra cui a) il fatto che l’automatica riconduzione della «formalità pubblicitaria» della cancellazione a una rinuncia avverrebbe in presenza di un giudizio per l’accertamento del credito, cioè di una circostanza incompatibile con la rinuncia stessa, e b) il fatto che la rinuncia comporterebbe una perdita potenziale a danno dei creditori.

 

Il secondo indirizzo, disattendendo le affermazioni delle Sezioni Unite del 2013, ritiene invece che la rinuncia al credito non possa essere considerata un effetto automatico della cancellazione della società, e ciò sia che la cancellazione sia volontaria, sia che essa operi d’ufficio.

 

In particolare, in tema di cancellazione volontaria, la sentenza n. 9464/2020 della Cassazione afferma che l’estinzione della società, in pendenza di giudizio, «non determina anche l’estinzione della pretesa azionata, salvo che il creditore abbia manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito comunicandola al debitore».

 

In tema di cancellazione d’ufficio, la sentenza n. 30075/2020 sostiene che «non può ritenersi automaticamente rinunciato il credito controverso […], atteso che la regola è la successione in favore dei soci dei residui attivi, salvo la remissione del debito ai sensi dell’art. 1236 cod. civ.».

 

La sentenza n. 21071/2023 si concentra invece sul tema probatorio: i crediti «si presumono tacitamente rinunciati a beneficio della sollecita definizione del procedimento estintivo della società, salva la prova contraria da parte di colui che intenda far valere la corrispondente pretesa»; in altre parole, la volontà di rinunciare al credito da parte della società si presume fino a prova contraria.

 

In virtù del persistente contrasto giurisprudenziale sulla possibilità di configurare la cancellazione della società come tacita rinuncia ai crediti sub iudice non compresi nel bilancio finale, l’ordinanza in commento ha rinviato il tema al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite. 

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