Con sentenza del 16 giugno 2019, pronunciata nella causa T-307/17, la Nona Sezione ampliata del Tribunale dell’Unione Europea ha rigettato il ricorso, proposto da Adidas, per l’annullamento della decisione con la quale l’EUIPO aveva precedentemente dichiarato nullo, per assenza di carattere distintivo, un marchio della multinazionale sportiva.
Dal punto di vista grafico, il marchio europeo in questione – n. 12442166, registrato presso l’EUIPO il 21 maggio 2014 – consiste in tre strisce parallele equidistanti di uguale larghezza, applicate sul prodotto in qualsiasi direzione.
Per meglio delimitare l’oggetto della controversia, è bene ricordare preliminarmente che nel sistema euro-unitario, così come nel nostro Codice della Proprietà Industriale, con l’espressione ‘carattere distintivo’ si fa riferimento all’idoneità del segno scelto dall’impresa, e cioè del suo vessillo concorrenziale, a identificare e a distinguere i suoi prodotti o servizi da quelli delle altre imprese operanti sul mercato.
La registrazione e l’eventuale dichiarazione di nullità di un marchio (anche) europeo sono quindi subordinate all’accertata presenza del carattere distintivo del segno. La regola generale, così sintetizzabile, trova poi un’eccezione nell’istituto della riabilitazione del marchio (il cd. secondary meaning), in base al quale anche un marchio originariamente e intrinsecamente sprovvisto di carattere distintivo può acquisirlo a seguito dell’uso (pubblicitario, commerciale) che ne è stato fatto, ed essere così ritenuto idoneo a creare una ‘connessione’ con i prodotti o servizi dell’impresa.
Quanto appena affermato emerge chiaramente da una lettura del Regolamento 207/2009, e in particolare dell’art. 7, par. 1-3 (con riferimento alla registrabilità del marchio) e dell’art. 52, par. 1-2 (con riferimento alla nullità del marchio).
Per il marchio Adidas, ci si trova dinanzi a un segno essenzialmente figurativo, e come tale registrato (si tornerà a breve sull’argomento), nonché caratterizzato da una certa semplicità ed essenzialità delle linee geometriche che lo compongono. E occorre sottolineare che, non a caso, neppure l’azienda tedesca ha contestato l’ assenza di carattere distintivo intrinseco delle tre strisce parallele ed equidistanti.
L’eventuale legittimità del segno controverso verte perciò, già in partenza, sul richiamato istituto della riabilitazione del marchio; in tal senso, il Tribunale UE ha ricordato i principali termini da prendere in considerazione per valutare se l’uso abbia conferito al marchio una capacità distintiva sopravvenuta: essi sono, tra gli altri, “la quota di mercato detenuta dal marchio, l’intensità, l’estensione geografica e la durata dell’uso di tale marchio, l’entità degli investimenti effettuati dall’impresa per promuoverlo”.
Sebbene Adidas abbia fornito al Tribunale, da un lato, numerose immagini atte a consacrare l’uso del marchio controverso sui propri prodotti, e dall’altro alcune evidenze dei propri sforzi pubblicitari e di marketing, nonché alcuni studi di mercato volti a provare il proprio alto market share, tali elementi non sono stati ritenuti idonei a riabilitare il marchio e a conferirgli carattere distintivo ai sensi della normativa euro-unitaria.
Sotto quest’ultimo profilo, il ragionamento della sentenza scorre su un doppio binario. In primo luogo, si sottolinea che il marchio controverso non è un marchio nazionale, ma comunitario, e ha pertanto carattere unitario. In particolare, secondo la costante giurisprudenza europea, ciò significa che “per essere ammesso alla registrazione, un segno deve avere carattere distintivo, intrinseco o acquisito in seguito all’uso, in tutta l’Unione”. La dimensione geografica del carattere distintivo, originario o acquisito che sia, investe perciò un orizzonte continentale: la ricostruzione della notorietà del marchio controverso offerta da Adidas, in quanto attinente solo ad alcune porzioni del mercato unico europeo, non è quindi bastata.
D’altra parte, non è il solo assetto territoriale a far propendere per la nullità del marchio in questione. Anzi, partendo da un’analisi delle immagini fornite dall’azienda sportiva tedesca, il Tribunale UE ha rilevato un’inversione dello schema dei colori, capace di differenziarle dalla raffigurazione del marchio così come registrato. Il che richiama l’altro importante tema affrontato nella sentenza, e cioè l’interpretazione del marchio e, soprattutto, l’applicazione della “legge delle varianti autorizzate”.
Quest’ultima riguarda, essenzialmente, l’ampiezza della tutela accordata al marchio e, nello specifico, l’ambito entro il quale l’alterazione figurativa del segno da parte dell’impresa che ne è titolare riesce comunque a mantenere intatta la valenza distintiva del medesimo segno.
Per la precisione, l’art. 15 del Reg. 207/2009 considera uso effettivo del marchio comunitario anche la sua utilizzazione “in una forma che si differenzia per taluni elementi che non alterano il carattere distintivo del marchio nella forma in cui esso è stato registrato”.
Sul punto, la posizione espressa da Adidas è per un allargamento dell’orizzonte della protezione: infatti, “le tre strisce parallele equidistanti che costituiscono il marchio controverso sarebbero idonee ad essere prolungate o tagliate in modi diversi, tra cui obliquo”.
Prescindendo dalla differente logica che muove i concetti di ‘uso effettivo’ (di cui all’art. 15) e di ‘uso’ (articoli 7 e 52) – col primo che si applica a un marchio già registrato il cui carattere distintivo non è in contestazione e il secondo che invece riguarda la riabilitazione di un marchio altrimenti nullo – il Tribunale ha comunque sottolineato l’unitarietà dei requisiti richiesti dalle due fattispecie.
Tuttavia, se l’utilizzo delle cosiddette varianti autorizzate è idoneo a rappresentare un uso del marchio, la variante deve limitarsi alla modifica di elementi trascurabili, che assicurino l’equivalenza del segno registrato e della sua variante utilizzata sul mercato.
Ciò non è accaduto nel caso di Adidas. La questione verte attorno alla complessità del marchio e allo schema di colori con cui esso è stato registrato (strisce nere su fondo bianco). In particolare, il carattere estremamente semplice del marchio a tre strisce – e, di riflesso, la sua scarsa attitudine distintiva – fa sì che anche variazioni minimali ne comportino una significativa alterazione, e pertanto l’impossibilità di considerare lecite queste varianti ai sensi dell’art. 15 del Regolamento.
Il ragionamento che precede interessa, secondo il Tribunale, sia le variazioni geometriche, sia le variazioni cromatiche apportate dall’impresa al marchio così come registrato. Esse, perciò, rappresentano un significativo discostamento dalla registrazione e, piuttosto che arricchire e completare il significato del marchio a tre strisce, fornendogli un incremento di capacità distintiva, finiscono per allontanarsi da esso: in questo caso, perciò, le varianti sono altro, rispetto al marchio controverso.
E, del resto, il marchio Adidas non rappresenta per il Tribunale un esempio di marchio a motivi, cioè composto da elementi ripetuti regolarmente, ma un semplice marchio figurativo, come tale ben delineato – in fase di registrazione – nel suo profilo geometrico, proporzionale e grafico: strisce parallele rettangolari caratterizzate da un rapporto 5:1 tra altezza e larghezza.
A conclusione di quanto espresso, quindi, è possibile sintetizzare la decisione in commento affermando che un insieme di fattori ha condotto il Tribunale a confermare la nullità del marchio Adidas a tre strisce parallele ed equidistanti applicate in qualsiasi direzione: tra questi, il suo carattere intrinsecamente non distintivo e suscettibile di allargare indefinitamente la tutela, le specifiche caratteristiche grafiche del segno e la non provata acquisizione di carattere distintivo a seguito dell’uso.
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Ulteriori informazioni: sentenza causa T-307/17 scaricabile in pdf.