Con tre delibere “gemelle” rese pubbliche in data 23 ottobre 2019, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha sanzionato per pratiche commerciali aggressive, ai sensi del Codice del Consumo, tre società operanti nell’ambito dell’e-commerce, quindi dei cosiddetti contratti a distanza.
Ad una prima disamina, i comportamenti scorretti dei professionisti, pur variamente articolati, riconducono essenzialmente a due distinte fasi del rapporto contrattuale: da un lato, la fase precontrattuale, dall’altro la fase dell’esecuzione del contratto.
Per quanto attiene alla fase precontrattuale, il ragionamento dell’Autorità ha fatto leva sugli obblighi informativi esistenti in capo al professionista ai sensi degli artt. 49 e 54 C. Cons.: nella fase prodromica alla conclusione del contratto, infatti, egli ha l’obbligo di fornire al consumatore un quadro informativo preciso, chiaro ed esauriente circa le caratteristiche essenziali del prodotto e le modalità di esecuzione del contratto. Le società sanzionate non hanno invece rispettato tali previsioni, fornendo ad esempio ai clienti informazioni incomplete circa le modalità di recesso, il prezzo e la disponibilità effettiva dei prodotti.
Per quanto attiene alla fase successiva alla conclusione del contratto, la valutazione antitrust si è soffermata sui principali obblighi del professionista: egli deve, innanzitutto, adempiere correttamente alle obbligazioni nascenti dal contratto, fornire corrette informazioni sullo stato degli ordini ed evitare di porre ostacoli di qualsiasi tipo all’esercizio del diritto di recesso. Sotto questo profilo, le violazioni censurate dall’Autorità riguardano principalmente la mancata, ritardata o incompleta consegna dei prodotti acquistati, l’omissione del rimborso al consumatore a fronte dell’annullamento dell’ordine o dell’esercizio del diritto di recesso e gli ostacoli all’esercizio dei diritti contrattuali del consumatore.
In concreto, quindi, Agcm ha sanzionato strategie commerciali volte ad ostacolare la piena efficacia dei diritti garantiti al consumatore, poste in essere mediante la poca chiarezza del sistema informativo preliminare alla vendita (es. la presentazione di prodotti come “disponibili” sul sito web, sebbene non disponibili al momento della vendita), o una scorretta gestione della fase post-vendita (es. il ritardo o la mancata effettuazione delle spedizioni, l’ostacolo al diritto di recesso). Tali strategie, se veicolate nell’ambito di un contratto a distanza, integrano una pratica commerciale aggressiva, capace cioè ai sensi degli artt. 24 e 25 C. Cons. di falsare e di limitare considerevolmente la libertà di scelta del consumatore e di indurlo ad assumere una scelta d’acquisto che altrimenti non avrebbe preso.
I provvedimenti qui richiamati offrono dunque un interessante spunto per andare ad analizzare meglio alcuni concetti appartenenti alla disciplina consumeristica, anche tenendo conto delle modificazioni apportate al Codice del Consumo a seguito del recepimento della Direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori.
In primo luogo, è bene premettere che la materia in discussione trova una corretta sistemazione solo se perimetrata nella relazione commerciale che lega professionista e consumatore (il cosiddetto rapporto B2C “Business to Consumer”) e, per quel che qui interessa, in quella relazione che si concreti in un contratto a distanza.
Occorre quindi valutare, innanzitutto, l’ambito soggettivo della disciplina, che vede nel professionista la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario [1], e che vede nel consumatore la persona fisica che agisce al di fuori di una delle suddette attività eventualmente svolte [2]. La differenza tra le due figure è di agevole comprensione, e la più ampia tutela accordata al consumatore trova la sua ragion d’essere, come noto, nelle asimmetrie informative e contrattuali che caratterizzano il rapporto sinallagmatico con il professionista. Ciò spiega altresì come mai la tutela consumeristica non si applichi alle operazioni B2B (“Business to Business”), quelle cioè in cui le controparti negoziali siano esclusivamente professionisti.
Esistono tuttavia alcune situazioni in cui l’oggetto del contratto consiste in un bene o in un servizio “misto”, utilizzabile cioè dall’acquirente per finalità sia personali che professionali: è il caso dei contratti con duplice scopo, cioè – per esprimersi con le parole della direttiva – dei contratti conclusi «per fini che parzialmente rientrano nel quadro delle attività commerciali della persona e parzialmente ne restano al di fuori»; in questi casi, suggerisce il considerando n. 17 della direttiva, l’acquirente dovrebbe essere considerato un consumatore se lo scopo commerciale risulta limitato, aprendo quindi a una valutazione case-by-case del contesto contrattuale.
Per quanto attiene invece all’ambito oggettivo della tutela consumeristica, atteso che la disciplina prende in considerazione i contratti tra professionista e consumatore che abbiano ad oggetto beni o servizi, esistono alcune categorie di beni e servizi, come i beni immobili, i servizi finanziari o i servizi sociali, che sono escluse dal perimetro della tutela. [3]
Da ultimo, sotto il profilo definitorio, resta quindi da valutare cosa debba intendersi per contratto a distanza: il Codice ne offre una definizione organica, identificandolo in quel contratto che venga concluso «nel quadro di un regime organizzato di vendita o di prestazione di servizi a distanza senza la presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore, mediante l’uso esclusivo di uno o più mezzi di comunicazione a distanza fino alla conclusione del contratto, compresa la conclusione del contratto stesso». [4]
La necessità che la tipologia contrattuale in parola, per definirsi tale, debba prevedere un’attività negoziale effettuata interamente ed esclusivamente attraverso un mezzo di comunicazione a distanza è ribadita anche dal considerando n. 20 della direttiva, che esclude dal novero dei contratti a distanza quelli che prevedano la presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore prima o durante la conclusione del contratto, come per esempio il contratto negoziato nei locali del professionista ma concluso a distanza, o viceversa quello negoziato a distanza ma concluso nei locali del professionista.
E’ infatti proprio la circostanza che l’accordo tra le parti nasca, si sviluppi e si concluda in un contesto privo del tradizionale scambio di informazioni “dal vivo”, privo cioè di una forma più personale di negoziazione tra il professionista e il consumatore, ad acuire l’asimmetria informativa tra i due soggetti, e a giustificare un innalzamento della tutela a favore del contraente debole.
Tale maggior tutela si sostanzia, come ricordato anche dall’Autorità antitrust nei provvedimenti commentati, in un più robusto obbligo di fornire informazioni a carico del professionista e in una più ampia gamma di diritti a giovamento del consumatore, come per esempio un diritto di recesso rafforzato o le nullità di protezione rispetto alle clausole vessatorie. [5]
Scopo della disciplina in commento è quindi, in definitiva, il riequilibrio della posizione informativa e negoziale del consumatore nei confronti del professionista, tanto da disegnare un vero e proprio diritto all’informazione in favore del consumatore. L’affermazione è coerente con la ratio della tutela consumeristica, chiarita ulteriormente dall’art. 1 della direttiva: una corretta informazione, infatti, oltre a proteggere il consumatore nella singola operazione d’acquisto di un bene o di un servizio, contribuisce al corretto funzionamento del mercato interno.
Si è quindi finora parlato di due aspetti, differenti ma intimamente legati, e cioè informazione ed esecuzione del contratto, che assumono una fisionomia peculiare nel contratto a distanza.
L’informazione, ad esempio, riveste un’importanza fondamentale sia nella fase pre-contrattuale, sia nella fase di esecuzione del contratto. In particolare, è l’art. 49 C. Cons. a indicare dettagliatamente quali informazioni debbano essere fornite al consumatore, e tra queste trovano posto le caratteristiche principali del bene o servizio, l’identità del professionista, il prezzo, le modalità di pagamento, di consegna e di esecuzione, la durata del contratto, le condizioni per l’esercizio del diritto di recesso o, viceversa, l’assenza di un diritto di recesso nei casi previsti dal successivo art. 59. Tali informazioni devono peraltro essere fornite in modo chiaro e comprensibile, e messe a disposizione del consumatore in modo appropriato anche dal punto di vista tecnico: in tal senso rileva negativamente, per una delle società sanzionate da Agcm con i menzionati provvedimenti, l’assenza di indicazione del prezzo del bene e, per un’altra società, l’assenza sul sito dell’apposito modulo di recesso richiesto dalla norma [6].
L’altro pilastro della tutela consumeristica nei contratti a distanza è poi il rafforzamento del diritto di recesso, cioè l’instaurazione di un “diritto di ripensamento”, consistente ai sensi dell’art. 52 C. Cons. in un periodo di quattordici giorni in cui il consumatore può recedere dal contratto senza dover fornire alcuna motivazione e senza dover sopportare alcun costo, fatta eccezione per talune eventuali spese legate alla restituzione del bene acquistato. E’ questo lo strumento primario di tutela del consumatore dall’asimmetria informativa che egli subisce nei confronti del professionista: nell’e-commerce, infatti, il consumatore non ha la tradizionale possibilità di esaminare dal vivo le caratteristiche e la qualità effettiva del bene, ma deve basarsi sulla descrizione e sulle informazioni fornite dal professionista. Per ovviare a questa posizione di estrema debolezza, il C. Cons. assicura dunque al consumatore un periodo di tempo in cui, avuta l’effettiva disponibilità del bene acquistato, egli possa valutarne al meglio le caratteristiche, e nel caso recedere agevolmente dal contratto. In ciò, il recesso rappresenta quindi anche un incentivo al commercio online, in quanto mette il consumatore al riparo da una delle principali problematiche dell’acquisto a distanza, ossia l’insoddisfazione per l’acquisto di un bene di cui non si è potuta visionare direttamente la conformità alle proprie esigenze di consumo: i quattordici giorni per il recesso decorrono, non a caso, dalla conclusione del contratto nei contratti di servizi, e dalla consegna del bene nei contratti di vendita.
L’esercizio del diritto di recesso, che può avvenire mediante l’apposito modulo o una dichiarazione esplicita della decisione di recedere dal contratto (art. 54 C. Cons.), attiva quindi una serie di obblighi in capo alle parti, e in special modo in capo al professionista. Egli è tenuto in particolare a rimborsare tutti i pagamenti ricevuti dal consumatore, senza ritardo e comunque entro quattordici giorni decorrenti dal giorno in cui è informato della decisione del consumatore di voler recedere, mentre non è tenuto a rimborsare gli eventuali costi supplementari.
Così inquadrata la fattispecie generale, è quindi ancor più facile comprendere come alcuni dei comportamenti tenuti dai professionisti colpiti dalla sanzione di Agcm si pongano in contrasto con le previsioni del Codice: il riferimento è in particolare all’omesso rimborso a fronte di annullamento o di recesso dal contratto e agli ostacoli posti all’esercizio del diritto di recesso.
Un ultimo aspetto da tenere in considerazione, all’interno di questa sintetica panoramica sulla disciplina consumeristica, riguarda poi la corretta esecuzione delle obbligazioni contrattuali da parte del professionista, essenzialmente la consegna del bene. Afferma l’art. 61 C. Cons., infatti, che il professionista è obbligato a consegnare i beni al consumatore senza ritardo ingiustificato e, comunque, entro trenta giorni dalla data di conclusione del contratto. A questo aspetto si lega peraltro quello del passaggio del rischio della perdita o del danneggiamento del bene quando ne sia prevista la spedizione, che secondo la disciplina viene spostato sul consumatore solo nel momento in cui egli acquisisce il possesso fisico del bene (anche mediante un terzo da lui designato).
Quanto appena affermato giustifica quindi, in conclusione la decisione di Agcm di sanzionare quali pratiche aggressive anche la mancata consegna e lo scarico di responsabilità sul vettore da parte del professionista, comportamenti verificatisi in alcuni dei casi esaminati.
In conclusione, come si è cercato di affermare, esiste uno stretto legame tra la disciplina consumeristica in sé considerata e quella parte del diritto antitrust consistente nel mantenimento di un mercato concorrenziale e trasparente. La riduzione dell’asimmetria informativa, punto di contatto tra le due esperienze, è quindi uno degli obiettivi ultimi del contrasto alle pratiche commerciali scorrette, di cui quelle aggressive rappresentano un sottoinsieme: la tutela dell’aspetto informazionale del consumatore, unita al mantenimento della sua libertà di scelta, priva di vincoli o di insidie da parte del professionista, dispiegano infatti un effetto positivo non soltanto sulla singola operazione commerciale, ma anche sulla fiducia complessiva da parte del consumatore nell’assetto del mercato online e delle contrattazioni a distanza, due elementi cardine anche della Digital Single Market Strategy di matrice europea.
[1] La definizione di “professionista” è contenuta all’art. 3, comma 1, lett. c) del Codice del Consumo.
[2] La definizione di “consumatore” è contenuta all’art. 3, comma 1, lett. a), del Codice del Consumo.
[3] Per un’elencazione completa dei beni o servizi esclusi dalla tutela consumeristica si rinvia all’art. 3 della Direttiva 2011/83/UE e all’art. 47 del Codice del Consumo.
[4] La definizione di contratto a distanza è contenuta nell’art. 45, c.1, lett g), C. Cons.
[5] Si definiscono clausole vessatorie, ai sensi dell’art. 33 C. Cons., quelle clausole che determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. Il medesimo art. provvede poi a fornire una nutrita elencazione di clausole che, in virtù del proprio oggetto o del proprio effetto, si presumono vessatorie fino a prova contraria.
[6] L’importanza della messa a disposizione degli strumenti abilitanti il diritto di recesso è ricordata anche dal considerando n. 45 della direttiva: «…ci dovrebbe essere la possibilità per il professionista di offrire al consumatore l’opzione di compilare un modulo tipo di recesso sul sito web…».
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