Negli ultimi due decenni, è noto, le ‘online platforms’ hanno acquisito un ruolo via via crescente all’interno dello scenario economico globale. Oggi, come emerge dal Report ‘Osservatorio sulle piattaforme online’ di Agcom, addirittura sette delle prime dieci imprese al mondo per capitalizzazione sono piattaforme. E’ questo un dato che andrebbe letto non soltanto nella sua dimensione puramente economica, vale a dire come crescita a velocità doppia o tripla delle imprese digitali rispetto a quelle tradizionali, ma anche (e forse soprattutto) nella sua valenza giuridica e sociale. Bisognerebbe, cioè, comprendere meglio – ed è appunto quel che l’Osservatorio si propone di fare – i fattori abilitanti di questa crescita e le sue prospettive future. E ciò sia per le opportune riflessioni concorrenziali relative ai mercati in cui tali piattaforme operano, sia per valutare e regolare l’incidenza e il ruolo che i player digitali rivestono nella vita quotidiana delle persone, mediante la raccolta e l’utilizzo dei loro dati.
La lettura offerta a tal proposito dall’Osservatorio Agcom è chiarissima: il divario fra la crescita delle piattaforme online e quella delle imprese tradizionali (es. tlc) è legato in maniera evidente, appunto, anche all’utilizzo dei dati da parte delle imprese digitali. Aziende come Google, Facebook o Amazon, a differenza di molti operatori tradizionali, sono attive in mercati multi-sided, in cui la valorizzazione delle enormi quantità di dati personali raccolti è lo strumento che abilita non soltanto una più efficace e segmentata forma di advertising (con conseguente vendita agli inserzionisti di spazi pubblicitari online ‘mirati’), ma anche l’innovazione nei servizi tradizionali (commercio elettronico, audiovisivi, finanza) e, addirittura, la creazione di nuovi mercati.
A cambiare è soprattutto il paradigma produttivo, con l’ubiquità garantita dal digitale che, assieme all’uso dei dati, garantisce la fornitura di servizi ad alto valore aggiunto.
L’estrema personalizzazione del servizio va infatti ad aggiungersi alla globalizzazione dei servizi immateriali (es. piattaforme di video on demand: Netflix), resa più agevole dal fatto che i servizi offerti dalle online platforms non necessitano di un’infrastruttura fisica proprietaria (l’unica infrastruttura richiesta è già esistente e disponibile: internet). L’innovatività dei servizi è d’altra parte legata all’alta spesa in R&D sostenuta dalle tech companies in settori anche ad alto rischio economico, fattore questo che potrebbe destare allarmi concorrenziali, rappresentando in effetti una significativa barriera all’ingresso e, di conseguenza, un potenziale limite alla contendibilità dei mercati. A ciò si aggiunge inoltre, come sottolineato da Agcom, il progressivo innalzamento del break-even in numerosi mercati digitali (e-commerce, search, social network), dovuto anche ai fenomeni di integrazione verticale e differenziazione orizzontale propri delle online platforms. L’Autorità, ad esempio, stima in 50 miliardi di ricavi circa il break-even di una piattaforma di e-commerce e in circa 20 miliardi quello di un motore di ricerca.
Per quanto riguarda poi la struttura dei mercati considerati, si può notare dal Report che le quote dei principali player raggiungono spesso una posizione dominante (es. Apple nei device mobili: quota del 50%), e che in generale le principali piattaforme online occupano le prime posizioni in tutti i settori presi in considerazione: cloud, assistenza vocale, sistemi operativi, browser, pubblicità online, e-commerce, app store, contenuti audiovisivi on demand. In taluni casi ci si trova di fronte ad oligopoli o duopoli: ad esempio, nei sistemi operativi mobili Google raggiunge il 75% ed Apple il 23%, mentre negli App Stores mobili Android raggiunge il 38% e iOS il 62%. Del resto, come sottolinea Agcom, tali mercati tendono alla concentrazione e a dinamiche del tipo ‘winner takes all’, caratterizzati come sono da rendimenti crescenti di scala, switching costs, ostacoli al multi-homing ed esternalità di rete. E’ in particolare nei servizi gratuiti (cioè, in prevalenza, quelli in cui il servizio è ‘pagato’ dall’utente con i propri dati: social network, posta elettronica, instant messaging) che le esternalità di rete e la scarsa tendenza all’utilizzo di servizi alternativi al primo operatore favoriscono l’emergere di una sola piattaforma dominante. Oltretutto, essendo questi perlopiù mercati multi-sided (es. utente – piattaforma intermediaria – inserzionista pubblicitario), le quote e la forza economica delle piattaforme digitali nei due versanti finiscono per influenzarsi e rafforzarsi a vicenda.
Sotto il profilo dei business models prevalenti, infine, lo scenario si presenta dinamico, passando dai ricavi user-centrici di aziende come Apple e Netflix, a modelli misti ma in cui prevale la spesa degli utenti (Amazon), per arrivare a modelli in cui i ricavi derivano principalmente dall’advertising (Google, Facebook). Come già ricordato, ciò pone un accento particolare sul dato personale e sull’utilizzo che ne viene fatto. I Big Data, terminologia con cui ci si riferisce all’enorme mole di dati, sempre più precisi e completi, raccolti e classificati mediante I.A. e algoritmi, offrono alle imprese che li posseggono un indubbio vantaggio competitivo, tanto che secondo Agcom è possibile stimarne un valore economico calibrato sul singolo utente, compreso fra 10 e 40 Euro annui ad utente nel caso dei motori di ricerca e dei social network.
«Nel 2018» ricorda Agcom, «Alphabet/Google, Amazon, Apple, Facebook, Microsoft e Netflix hanno conseguito complessivamente 692 miliardi di euro di ricavi nel mondo, un valore quattro volte superiore a quello delle principali imprese di TLC e media tradizionali.» E se questo dato rappresenta, all’alba dell’Industry 4.0 e dell’Internet of Things, la conferma di un cambio di paradigma economico legato alle illimitate potenzialità del digitale, vale a dire un semplice segno dei tempi, non più preoccupante di una qualsiasi delle precedenti fasi di evoluzione industriale, d’altra parte l’entusiasmo digitale non può nascondere le lecite perplessità concorrenziali legate a un settore imprenditoriale – quello online – che sta rapidamente diventando IL settore imprenditoriale. E in un’economia in cui tutto è digitale, diventa necessario che la regolamentazione consenta a tutti, in concreto e non solo sulla carta, di operare e competere nel digitale.
© Graziadei Studio Legale
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