LA NORMATIVA DI EMERGENZA. La normativa di emergenza relativa alla salute e alla sicurezza nei luoghi di lavoro si compone di una pluralità di fonti succedutesi nell’arco di appena poche settimane (ultima delle quali il DPCM 26.04.2020, comprendente il Protocollo condiviso con i sindacati del 24 aprile). Queste disposizioni hanno l’obiettivo di integrare e arricchire il generale obbligo dell’impresa di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e morale del lavoratore.
NUOVE CAUTELE SUL LUOGO DI LAVORO. Nella situazione di emergenza, l’obbligo appena visto si stratifica e si procedimentalizza ancor più, delineando un percorso guidato ‘a tappe’ in cui tutte le parti (quindi non solo il datore di lavoro, ma anche il lavoratore, i fornitori, i visitatori del luogo di lavoro) sono tenute al rispetto di determinate norme igienico-sanitarie preventive. Logicamente, ricade sul datore di lavoro uno sforzo in più, e cioè la predisposizione, nei locali aziendali, di tutte le condizioni (informative, igieniche, precauzionali, operative) che abilitano il concreto rispetto della normativa di emergenza.
LA FASE 2: ALLENTAMENTO DEL LOCKDOWN. Le misure del DPCM 26 aprile 2020, valide dal 4 al 17 maggio prossimi, segnano l’ingresso del Paese nella cosiddetta ‘Fase 2’ e, con riferimento alla sospensione delle attività, mantengono la distinzione già posta dai decreti precedenti (fra cui il Decreto ‘Chiudi Italia’) tra attività commerciali al dettaglio, attività professionali e attività produttive industriali e commerciali.
Prima di delineare gli obblighi di sicurezza imposti dalla normativa di emergenza al datore di lavoro, è dunque necessario capire quali attività imprenditoriali possono riaprire con l’avvento della Fase 2.
LE ATTIVITA’ COMMERCIALI AL DETTAGLIO E LE ATTIVITA’ PROFESSIONALI. Per quanto riguarda le attività commerciali al dettaglio, il nuovo Decreto conferma e corrobora l’apertura già segnata dal DPCM 10.04.2020 rispetto al precedente Chiudi Italia (elenco completo delle attività non sospese negli Allegati 1 e 2 del Decreto 26.04.2020).
Per le attività professionali resta fermo quanto già previsto in precedenza: nessun obbligo di sospensione generale, ma raccomandazione del massimo utilizzo di modalità di lavoro agile.
LE ATTIVITA’ PRODUTTIVE INDUSTRIALI E COMMERCIALI. La novità maggiore, per quanto riguarda le attività produttive, è la ripresa a partire dal 4 maggio della attività manifatturiere, di costruzione, di intermediazione immobiliare e di commercio all’ingrosso. L’elenco completo delle attività che potranno riprendere le attività è contenuto nell’Allegato 3 del Decreto.
IL PROTOCOLLO CONDIVISO del 24.04.2020. Le linee guida in materia di sicurezza sul lavoro hanno trovato una compiuta specificazione nel “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” del 24 aprile 2020, che integra il precedente Protocollo del 14 marzo. Esso prevede alcune nuove modalità ‘emergenziali’ di tutela del diritto alla salute e alla sicurezza sul luogo di lavoro, così come alcuni comportamenti da tenere che interessano sia il datore di lavoro sia il lavoratore.
GARANTIRE ADEGUATI LIVELLI DI SICUREZZA. Il punto di partenza è che l’attività produttiva può proseguire solo in presenza di condizioni che assicurino ai lavoratori adeguati livelli di sicurezza: sarà quindi possibile ridurre o sospendere l’attività lavorativa, con ricorso agli ammortizzatori sociali, per il tempo necessario a mettere in sicurezza i luoghi di lavoro. Inoltre, dove possibile, è fortemente incentivato lo smart working.
GLI OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO. In generale, poi, il Protocollo stabilisce alcuni specifici obblighi del datore di lavoro, fra i quali è opportuno ricordare i seguenti:
(a) fornire informazioni sulla normativa di emergenza a chi accede ai locali aziendali;
(b) avvertire (e collaborare con) le autorità sanitarie in caso di dipendente sintomatico e sanificare gli ambienti in caso di effettivo contagio;
(c) predisporre e organizzare le attività aziendali in maniera da limitare i contatti e le possibilità di contagio all’interno dell’azienda (es. contingentare l’accesso agli spazi comuni, provvedere alla pulizia quotidiana e alla sanificazione periodica degli ambienti, scaglionare ingressi e uscite, imporre l’utilizzo di mascherine chirurgiche ai lavoratori che condividano spazi comuni, evitare riunioni in presenza, mettere a disposizione del personale detergenti e strumenti di protezione);
(d) limitare il più possibile i contatti con l’esterno (es. sospendere viaggi e trasferte, limitare la circolazione di fornitori e visitatori).
ULTERIORI MISURE ADOTTABILI. Accanto agli obblighi, il Protocollo prevede talune misure, facoltative ma incentivate, che il datore di lavoro può adottare per la maggior tutela dei lavoratori. Ad esempio, è possibile:
(a) sottoporre i lavoratori al controllo della temperatura corporea prima dell’accesso in azienda;
(b) disporre la chiusura di tutti i reparti diversi da quello che si occupa della produzione;
(c) favorire lo smart working;
(d) assicurare la turnazione del reparto produzione;
(e) rimodulare i livelli produttivi.
AMMORTIZZATORI E FERIE. E’ consentito il ricorso ad ammortizzatori sociali, anche in deroga, e ferie arretrate. Tutte le misure di prevenzione possono essere adattate, in accordo con le RSA, alle peculiarità dell’organizzazione aziendale.
P.A. E SMART WORKING. Con il Decreto ‘Cura Italia’ (D-L n. 18 del 17.03.2020) si stabilisce che, fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica (o fino a una data antecedente stabilita con diverso DPCM), il lavoro agile rappresenta la modalità di lavoro ordinaria nelle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, c. 2, D. Lgs. 165/2001 (fra cui scuole e università, enti pubblici non economici, Regioni, Province, Comuni e Comunità montane). Le p.a. limitano quindi la presenza del personale negli uffici alle sole attività indifferibili e che richiedono necessariamente la presenza sul luogo di lavoro.
PRIVACY E SICUREZZA NEL LUOGO DI LAVORO. La normativa di emergenza ha abilitato i datori di lavoro a prendere una serie di misure precauzionali che comportano il trattamento di dati personali. Dunque, il Protocollo condiviso suggerisce alcuni accorgimenti utili a ridurre l’impatto di tali trattamenti sulla privacy del lavoratore.
Ad esempio, nel caso si effettui la rilevazione della temperatura all’ingresso, è consigliato fornire (anche oralmente), l’informativa sul trattamento dei dati personali, mettere in atto misure protettive adeguate se si registrano i dati, non diffonderli o comunicarli a meno che ciò non sia richiesto dalla legge, isolare il dipendente che presenti sintomi preservandone la riservatezza e la dignità.
Nel caso in cui invece il datore di lavoro richieda al lavoratore il rilascio di una dichiarazione che attesti la non provenienza da una zona a rischio epidemiologico e l’assenza di contatti, nei precedenti 14 giorni, con soggetti affetti da COVID-19, oltre a rispettare tutte le previsioni già viste per la rilevazione della temperatura, egli dovrà limitarsi a raccogliere solo i dati necessari, adeguati e pertinenti rispetto alla finalità di prevenzione.
LO STATEMENT DELL’EDPB. Le facoltà di trattamento dati previste dal Protocollo sono rafforzate dalle previsioni in via generale del GDPR, sottolineate dall’European Data Protection Board con una comunicazione del 16 marzo 2020. Il Regolamento, afferma l’EDPB, consente ai datori di lavoro di trattare dati personali nel contesto di un’epidemia anche senza il consenso dell’interessato (cioè del lavoratore). Ciò vale ad esempio quando il trattamento dei dati personali è necessario per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica o per proteggere interessi vitali (art. 6 e 9 GDPR) o per ottemperare a un altro obbligo legale.
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