L’asimmetria informativa è forse considerabile, nell’ecosistema digitale, come uno dei principali ostacoli all’affermazione di un efficiente ed equilibrato sistema di scambi commerciali. Se tradizionalmente l’asimmetria ha riguardato, online, soprattutto i rapporti tra professionisti e consumatori, la crescita delle grandi piattaforme digitali (Amazon, Google), favorendo l’ingresso in internet di professionisti medio-piccoli, ne ha ampliato lo spettro fino a ricomprendere i rapporti tra professionisti operanti su livelli differenti della catena del valore: il riferimento va, in tal senso, al disequilibrio informativo esistente tra i titolari dei servizi di intermediazione online e dei motori di ricerca e gli utenti commerciali (spesso piccole realtà imprenditoriali) che usufruiscono proprio di quei servizi per raggiungere il vasto pubblico di consumatori della rete.
L’esigenza di arginare questa disparità ed offrire strumenti di riequilibrio contrattuale si è fatta tanto più avvertita quanto più la tecnologia si è evoluta nel senso di aprire un divario tra le facoltà concesse al piccolo venditore, e quelle di cui invece le piattaforme stesse possono servirsi (in particolare, Big Data Analysis, algoritmi di preferenza e di posizionamento), con implicazioni di natura anche concorrenziale in quei casi in cui il ‘platform holder’ entri in competizione con il ‘seller’ nella vendita di un dato prodotto.
Nasce anche da simili considerazioni il Regolamento UE 2019/1150, il quale, prendendo le mosse dal ruolo chiave delle piattaforme online nello sviluppo dell’innovazione e di nuovi modelli di business, ambisce a rendere più eque e trasparenti le condizioni che regolano questi servizi.
E’ un fatto, ad esempio, che gli utenti commerciali (in particolare, microimprese e PMI), nel raggiungere i consumatori, siano sempre più dipendenti dai servizi di intermediazione online. Tale concetto è ben espresso dal Considerando n. 2 del Regolamento in discorso, il quale evidenzia che «dato l’aumento della dipendenza, i fornitori di tali servizi spesso hanno un potere contrattuale superiore, che consente loro di agire di fatto unilateralmente in un modo che può essere iniquo e quindi dannoso per gli interessi legittimi dei loro utenti commerciali e, indirettamente, anche dei consumatori dell’Unione».
Il Considerando n. 4 svolge analoghe valutazioni in merito ai motori di ricerca online, i quali «possono essere importanti fonti di traffico Internet per le imprese che offrono beni o servizi ai consumatori mediante i siti web e possono pertanto influire in modo significativo sul successo commerciale degli utenti titolari di siti web aziendali»: in altre parole, visto l’impatto che il posizionamento di un sito web ha sul suo successo, il motore di ricerca si trova in una posizione di forza analoga a quella del servizio di intermediazione, potendo cioè determinare di fatto unilateralmente le condizioni contrattuali, a svantaggio degli utenti commerciali e, indirettamente, dei consumatori europei.
La novella portata dal Regolamento europeo, dunque, pur attenendo esclusivamente alla corretta modulazione contrattuale dei rapporti tra piattaforma online e utente commerciale, corre in realtà anche su un altro binario: l’influenza che tali rapporti dispiegano a valle, sul mercato interno europeo che coinvolge il consumatore.
Stante la portata globale del fenomeno web, la norma si rivolge ai servizi di intermediazione online e ai motori di ricerca online, indipendentemente dal fatto che siano stabiliti in UE, purché questi offrano i loro servizi a utenti commerciali che: a) abbiano luogo di stabilimento o di residenza in UE, e b) offrano, tramite i servizi di intermediazione online o i motori di ricerca online, beni o servizi a consumatori nell’Unione. Queste due condizioni, sancite dall’art. 1, sono cumulative.
All’interno del Regolamento una particolare importanza è data anche al perimetro definitorio (art. 2): i servizi di intermediazione online, per essere considerati tali, devono essere servizi della società dell’informazione, devono consentire agli utenti commerciali di offrire beni o servizi ai consumatori e devono essere forniti agli utenti commerciali in base a un rapporto contrattuale (su questa base, il Considerando n. 11 include nella definizione le piattaforme di e-commerce, gli app store, i social media); i motori di ricerca online, invece, sono definiti come «un servizio digitale che consente all’utente di formulare domande al fine di effettuare ricerche […] su tutti i siti web […] sulla base di un’interrogazione su qualsiasi tema sotto forma di parola chiave, richiesta vocale, frase o di altro input».
Come intuibile, entrambe le definizioni sono improntate al principio di neutralità tecnologica, in maniera da risentire il minimo possibile dell’evoluzione tecnologica futura.
Nel tentativo di riequilibrare i rapporti contrattuali tra piattaforme online e utenti commerciali, il Regolamento si muove poi lungo i binari della trasparenza, dell’equità e della semplicità. E’ quanto emerge in materia di termini e condizioni di servizio, dove l’art. 3 richiede che le condizioni generali di contratto siano redatte in un linguaggio semplice e comprensibile e che siano reperibili dall’utente commerciale in tutte le fasi del rapporto con la piattaforma, compresa la fase precontrattuale. Una disposizione, questa, assistita peraltro dalla nullità di termini e condizioni non conformi al dettato regolamentare.
Al confine tra diritto e tecnologia si pongono inoltre alcuni temi di grande attualità nel dibattito giuridico sulle piattaforme online. E’ il caso, ad esempio, del cosiddetto ‘posizionamento’ di beni e servizi, cioè della loro rilevanza all’interno delle pagine web predisposte da servizi di intermediazione o da motori di ricerca online (art. 5). Come precisato dal Regolamento, infatti, il posizionamento «ha un impatto importante sulla scelta del consumatore e, di conseguenza, sul successo commerciale degli utenti commerciali» (Considerando n. 25). Perciò, sebbene per ragioni strategiche e concorrenziali la norma esenti le piattaforme dall’obbligo di divulgare il funzionamento di meccanismi ed algoritmi di posizionamento, essa richiede al contempo una descrizione generale dei principali parametri di posizionamento, necessari affinché i venditori possano trovarsi ad operare in uno scenario commerciale prevedibile.
Il Regolamento concede infine ampio spazio a dati e informazioni raccolte online dalle piattaforme, inclusi i dati personali dei consumatori, una tematica che – nella data driven economy – si pone al confine tra privacy e concorrenza. Si legge nel Considerando n. 33, infatti, che «la capacità di accedere e utilizzare i dati, compresi quelli personali, può consentire la creazione di valore rilevante nell’economia delle piattaforme online» e che, perciò, «è importante che i fornitori di servizi di intermediazione online forniscano agli utenti commerciali una chiara descrizione di portata, natura e condizioni del loro accesso a determinate categorie di dati e del loro utilizzo». Pertanto, il Regolamento richiede alle piattaforme maggiore trasparenza su modalità e tipologie di accesso e di utilizzo dei dati, sia per quanto riguarda l’accesso, da parte del fornitore di servizi, ai dati (anche personali) di utenti commerciali e consumatori, sia per quanto riguarda l’eventuale accesso, da parte dell’utente commerciale, ai dati (anche personali) dei consumatori (art. 9).
D’altra parte, quando il titolare della piattaforma offra beni e servizi propri che risultino analoghi a quelli offerti dai venditori terzi sul medesimo marketplace, l’analisi dei dati raccolti può contribuire anche a fornire alla piattaforma online uno strumento per falsare il gioco concorrenziale. In questi casi, infatti, il fornitore potrebbe utilizzare «il proprio controllo sul servizio […] per garantire alle proprie offerte, o a quelle di un utente commerciale da esso controllato, vantaggi tecnici o economici» (Considerando n. 30). Sotto questo profilo, perciò, il Regolamento impone ai servizi di intermediazione e ai motori di ricerca online l’obbligo di specificare, nelle condizioni generali di servizio, gli eventuali trattamenti differenziati che le piattaforme riservino ai loro prodotti rispetto a quelli dei venditori terzi (art. 7).
Da ultimo, il Regolamento si preoccupa di disciplinare la creazione di un sistema di gestione dei reclami caratterizzato da equità, efficienza e rapidità, nonché l’accesso a procedure di mediazione in relazione a tali reclami (artt. 11-12), e di promuovere codici di condotta che tengano conto delle esigenze settoriali e che contribuiscano alla corretta applicazione del Regolamento stesso (art. 17).
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Ulteriori informazioni: Regolamento UE 2019/1150 scaricabile in pdf.