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Quaderno giuridico Consob n. 20: Interesse strategico nazionale e golden power nelle infrastrutture finanziarie: spunti di riflessione (anche) agli albori della Brexit


02/2019

Nel clima di crescente contrasto tra spinte protezionistiche e aperture dei mercati, che sta caratterizzando l’assetto economico mondiale, il nuovo Quaderno Giuridico Consob svolge un’analisi dell’inedita relazione tra il “golden power” e le infrastrutture finanziarie: più nello specifico, il riferimento è alle possibilità di intervento governativo che la Legge n. 172/2017 - anticipando le conclusioni della Proposta di Regolamento UE COM(2017)487 - riserva alla tutela degli interessi strategici nazionali sottesi al corretto funzionamento dei mercati finanziari.    
Prima di tutto, occorre ricordare che il cosiddetto golden power consiste nel potere, attribuito al Governo, di vietare un’operazione societaria riguardante asset nazionali di caratura strategica. Esso affonda le sue radici in una lunga tradizione normativa volta a bilanciare l’espansione del libero mercato, da un lato, e l’interesse statale e la sicurezza pubblica, dall’altro. Non a caso, nel porre l’accento sulla recente inclusione delle infrastrutture finanziare nel perimetro degli interessi strategici nazionali meritevoli di golden power, il paper Consob mette innanzitutto in rilievo il retaggio giuridico-culturale sottostante alla novità.



L’intervento pubblico nell’economia, già presente nella Legge n. 141/1933 e nel Codice Civile in tema di interesse extra-sociale, fu parzialmente salvaguardato anche dalla Costituzione (l’iniziativa economica privata, pur libera, “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale”, afferma l’art. 41).        
Una necessità, quella di una supervisione pubblica degli aspetti fondamentali dell’economia, che neppure la privatizzazione degli anni novanta ha scalfito, mantenendo in capo allo Stato «una serie di poteri speciali nei confronti delle società c.d. privatizzate finalizzati alla tutela degli interessi nazionali».
La nascita di questi poteri speciali si è peraltro verificata in un contesto caratterizzato da spinte contrastanti: da un lato, le esigenze nazionali di tutela degli asset strategici (in settori come le telecomunicazioni o l’energia), dall’altro il controllo europeo per assicurare l’aderenza delle normative nazionali alle libertà sancite dai Trattati e finalizzate all’attrazione degli investimenti intracomunitari ed extracomunitari (il riferimento è in particolare, pur con i suoi limiti in tema di ordine e di sicurezza pubblici, alla libera circolazione dei capitali).



Due elementi, sottolinea il Quaderno Giuridico, hanno successivamente contribuito ad alimentare un clima di diffidenza verso gli investimenti esteri nelle infrastrutture finanziarie nazionali, tali da giustificare il mantenimento (o la creazione) di poteri speciali come il golden power: l’avvento dei Fondi Sovrani e la crisi finanziaria del 2007.       
Per quanto riguarda i Fondi Sovrani, la loro forte crescita ha destato preoccupazione soprattutto per la poca trasparenza sugli enormi capitali gestiti e per il rischio che le scelte strategiche fossero mosse da intenti politici.          
Con riferimento alla crisi finanziaria, invece, essa ha in qualche modo destabilizzato l’assetto privatizzato delle infrastrutture finanziarie, sviluppatosi a partire dalla Direttiva 93/22/CEE (Direttiva sui servizi di investimento) e proseguito con la Direttiva 2004/39/CE (Direttiva Market in Financial Instruments); ciò ha fatto emergere l’esigenza di inserire «elementi di pubblicità […] anche nei mercati privati».    
Ai due elementi appena evidenziati si aggiunge poi il tendenziale aumento degli investimenti esteri - anche da parte dei Fondi Sovrani - in Europa (maggiori che in Stati Uniti e Cina), e specialmente in settori altamente tecnologici.       
Le preoccupazioni politico-finanziarie, pur non spingendo la Commissione ad alzare barriere protezionistiche, hanno però imposto una riflessione di livello europeo quantomeno sugli investimenti esteri diretti. E proprio in tal senso si sono mossi alcuni provvedimenti del 2017, come la Comunicazione “Accogliere con favore gli investimenti esteri diretti tutelando al contempo gli interessi fondamentali” (che fin dal titolo rappresenta un manifesto programmatico) e la già ricordata Proposta di Regolamento COM(2017)487, volta a istituire un quadro unitario per il controllo degli investimenti esteri diretti nell’Unione europea.      
I documenti della Commissione non portano a un mutamento di prospettiva sul problema, ma a un adeguamento del quadro normativo ai nuovi scenari economici: coerentemente ai Trattati, le proposte si conformano al principio di libertà di circolazione dei capitali (di cui gli investimenti esteri diretti in infrastrutture finanziarie rappresentano una declinazione), temperandolo però con l’esigenza di salvaguardare la sicurezza degli asset strategici europei.
Il tutto in un quadro normativo armonizzato, dal momento che la stessa Proposta di Regolamento, ricorda Consob, mira semplicemente a fornire una cornice uniforme a possibili interventi come il golden power, senza però mortificare l’autonomia statale nella valutazione delle specificità nazionali.          
Una filosofia, come ricordato, che il Governo italiano ha sposato con la Legge n. 172/2017: oltre a introdurre meccanismi più trasparenti per le operazioni di acquisto di partecipazioni sociali, essa ha infatti esteso il campo di applicazione del golden power ad alcuni «settori ad alta intensità tecnologica» tra cui appunto le infrastrutture finanziarie, espressione con la quale, secondo il paper, bisogna intendere «l’insieme di tutti quegli elementi specifici che costituiscono strumento essenziale per il funzionamento del sistema finanziario, o di parti di esso, di un Paese», nell’ambito del quale si inserisce anche «la componente tecnologica di queste infrastrutture […] sistemi infrastrutturali attraverso i quali vengono gestite le transazioni in strumenti finanziari tra chi risparmia e chi investe (funzione di allocazione), gestiti i pagamenti (funzione monetaria) e trasmessa la politica monetaria».        
In altre parole, in un mercato finanziario in cui le economie di scala e la globalizzazione estendono a dismisura i confini del trading, l’introduzione delle infrastrutture finanziarie (anche tecnologiche) nell’alveo del golden power mira a salvaguardare la sicurezza e l’affidabilità delle piattaforme e dei servizi finanziari da potenziali “colpi di mano” derivanti da investimenti esteri diretti legati a doppio filo a strategie economico-politiche.      
Segue, nell’analisi del Quaderno Giuridico, una puntuale illustrazione delle infrastrutture finanziarie in discorso, soprattutto con riferimento alla divisione tra infrastrutture di trading e di post-trading, che tende a evidenziare il già citato processo di “re-istituzionalizzazione” di cui esse sono state oggetto a partire dal Regolamento EMIR e dalla Direttiva MiFID II.          
Delineato il perimetro normativo entro il quale si muove il golden power, resta però da capire il rapporto che viene a crearsi tra tale istituto e le regolamentazione di settore, dato che «le imprese che gestiscono un’infrastruttura di mercato […] svolgono una attività che non è libera, ma riservata a soggetti qualificati, dotati di precisi requisiti ed autorizzati dall’Autorità di vigilanza competente». E, questo, soprattutto con riferimento a quelle situazioni in cui l’esercizio del golden power può finire col sovrapporsi al normale controllo prudenziale dell’Authority.
Sul tema, il paper, auspicando in prima battuta un coordinamento tra Governo e Authorities di settore, sembra sì aprire a un rapporto di «specialità reciproca» tra i due strumenti di controllo, ma con una sostanziale prevalenza della regolamentazione di settore e una conseguente complementarietà del golden power.         

Da ultimo, per rispondere a uno degli interrogativi che muove il lavoro, e cioè il potenziale impatto della Brexit sulle dinamiche di mercato e sulla mole degli investimenti esteri diretti, il Quaderno Giuridico esprime fiducia nella tenuta delle infrastrutture finanziarie italiane: esse, infatti, a prescindere dalla titolarità UE o meno delle società che le gestiscono, sono fornite di una struttura organizzativa da sempre dotata di meccanismi di controllo e accountability, tali da renderle “resilienti”.  


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