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DIRITTO DEL LAVORO E DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI | I nostri abstract | Dalla biblioteca di Graziadei Studio Legale | Aggiornata al 26/05/2021



INDICE DELLE ULTIME SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE: 

§9. Ettore Battelli, I rapporti di lavoro nel settore dello spettacolo e i contratti d’opera su commissione
§ 8. Marianna Russo, Esiste il diritto alla disconnessione? Qualche spunto di riflessione alla ricerca di un equilibrio tra tecnologia, lavoro e vita privata
§ 7. Matteo Turrin, Lavoro agile e contratti di lavoro non standard: elementi di criticità
§ 6. Andrea Sitzia, Coronavirus, controlli e “privacy” nel contesto del lavoro
§ 5. Samuele Renzi, I diritti morali e patrimoniali del lavoratore-inventore tra brevettazione e segretezza industriale

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§9. Ettore Battelli, I rapporti di lavoro nel settore dello spettacolo e i contratti d’opera su commissione, in I contratti, IPSOA, n. 2/2021
Il contributo indaga le peculiarità e le caratteristiche del rapporto di lavoro degli artisti e dei tecnici dello spettacolo, figure professionali il cui inquadramento può variare dall’autonomo al subordinato.

L’Autore si sofferma dunque sugli “schemi negoziali giuslavoristici” più utilizzati nel settore. La rassegna si concentra in primo luogo sul contratto di lavoro a tempo determinato, molto utilizzato sia per gli artisti, sia per i tecnici, pur entro i precisi limiti stabiliti dal Legislatore. Non si tralasciano, comunque, alcune altre esperienze negoziali tipiche, come il contratto a chiamata e il lavoro occasionale.

Si illustrano poi i presupposti e i requisiti per la corretta costituzione del rapporto di lavoro, tra cui la forma del contratto (quella scritta non è obbligatoria, ma è prassi) e la deroga all’età minima per 



l’ammissione al lavoro, prevista per il settore dello spettacolo.

Uno spazio è poi riservato, in chiusura, a una questione ai confini tra proprietà intellettuale e tutela giuslavoristica, relativamente ai diritti d’autore patrimoniali sulle opere realizzate su base contrattuale o su commissione. A seguito di una veloce incursione nelle prerogative autoriali, l’Autore afferma la titolarità di tali diritti in capo al datore di lavoro/committente, sebbene sia discusso se l’acquisto avvenga a titolo originario o derivativo.



§ 8. Marianna Russo, Esiste il diritto alla disconnessione? Qualche spunto di riflessione alla ricerca di un equilibrio tra tecnologia, lavoro e vita privata, in Diritto delle Relazioni Industriali, Giuffrè Francis Lefebvre, n. 3/2020

Il contributo esplora un tema giuslavoristico di particolare attualità, in un momento storico in cui le tecnologie digitali sono sempre più presenti nella vita del lavoratore. Il diritto alla disconnessione, inteso come elemento di equilibrio tra vita professionale e vita privata, è qui oggetto di un’indagine  che muove da tre domande fondamentali: esiste un simile diritto? è necessario disciplinarlo con una normativa ad hoc? come garantirne l’effettività?

Partendo da tali quesiti, l’Autrice imbastisce una riflessione organica e trasversale, che non trascura l’interdipendenza delle tematiche coinvolte (non ultimo «il bilanciamento tra potere di controllo del datore e diritto alla riservatezza dei lavoratori»), né la pluralità di fonti normative e di esperienze nazionali esistenti.

A partire dal dato empirico italiano, che vede un espresso accenno al diritto alla disconnessione nella sola Legge 81/2017 (lavoro agile), l’Autrice allarga dunque il campo ad altri Paesi europei (Spagna, Francia, Svizzera, Germania), dove il diritto in parola spazia da un’espresso riconoscimento normativo in favore della generalità dei lavoratori a determinazioni demandate alla contrattazione collettiva.

Senza dimenticare il ruolo di quest’ultima, emerge tuttavia una prospettiva sul diritto alla disconnessione che sembra negare l’esigenza di una norma ad hoc. Infatti, per l’Autrice il diritto alla disconnessione “digitale” sembra essere soltanto una nuova declinazione tecnica di un vecchio problema, cioè quella separazione tra sfera lavorativa e sfera privata del lavoratore che è un principio «tutelato a livello costituzionale e comunitario» (Dichiarazione universale dei diritti umani; Costituzione, art. 36; Direttiva 2003/88/CE).

Da questa prospettiva, lo strumento tecnologico (mail, telefonata, ecc.) diventa addirittura mezzo di «tracciabilità» (e dunque di prova) della prestazione lavorativa fornita fuori orario, con conseguente diritto del lavoratore a una retribuzione degli straordinari.

Infine, quanto all’effettività del diritto alla disconnessione, come detto, l’Autrice rimarca il ruolo affidato alla contrattazione collettiva, spesso capace di adeguarsi più in fretta della legge al nuovo contesto tecnologico. Gli esempi portati, sia in ambito europeo che in ambito specificamente italiano (settori del pubblico impiego e del credito), ne sono una testimonianza.

Tuttavia, ed è questo uno dei punti focali dell’intera trattazione, l’effettività del diritto alla disconnessione - atteso che il contesto normativo non necessita una norma ad hoc - richiede tuttavia un passaggio culturale capace di favorire un «circolo virtuoso» tra benessere del lavoratore ed esigenze di produttività.



§ 7. Matteo Turrin, Lavoro agile e contratti di lavoro non standard: elementi di criticità, in Diritto delle Relazioni Industriali, Giuffrè Francis Lefebvre, n. 2/2020
In una fase storica di grande attenzione verso le modalità di lavoro agili, il contributo qui segnalato si propone di indagare un profilo specifico di questa disciplina, ossia la sua compatibilità con le forme contrattuali di lavoro ‘atipiche’. Dopo aver brevemente illustrato gli elementi essenziali della fattispecie, dunque, l’Autore esamina le specificità proprie delle principali forme di lavoro non standard (tempo determinato, tempo parziale, lavoro intermittente, apprendistato, somministrazione di lavoro) nell’accesso allo smart working.
Attesa l’assenza di incompatibilità normativa (eccetto per il lavoro intermittente e per alcuni dubbi in merito alla somministrazione), il contributo si sofferma dunque sul ruolo della contrattazione collettiva (soprattutto di livello aziendale).
L’applicazione dello smart working non è per legge subordinata ad accordi sindacali, e tuttavia proprio l’autonomia collettiva - la quale, del resto, ha introdotto alcune forme di lavoro agile ancor prima del Legislatore - potrebbe avere, per l’Autore, funzione anti-discriminatoria e di ‘trasparenza’ nell’individuazione dei criteri di accesso allo smart working da parte dei lavoratori (inclusi i lavoratori ‘atipici’).
Il tema della non discriminazione nei confronti dei lavoratori assunti con forme contrattuali atipiche richiama non soltanto la disciplina euro-unitaria, ma anche gli indirizzi restrittivi della Corte di Giustizia in tema di ‘ragioni obiettive’ che possono giustificare un trattamento differenziato: l’analisi sembra suggerire dunque la necessità di una generale parità di condizioni nell’accesso allo smart working, facilitata in teoria dalla contrattazione collettiva.
Ma il dato empirico sottolinea una discrepanza tra teoria e prassi: del campione contrattualistico esaminato dall’Autore, infatti, una larga parte esclude i lavoratori a tempo determinato dal lavoro agile. Se dunque le forme contrattuali non standard risultano compatibili, al netto di alcuni adattamenti, con la disciplina in parola, allo stato sembra invece essere l’autonomia collettiva a porsi a una distanza maggiore dagli indirizzi euro-unitari.



§ 6. Andrea Sitzia, Coronavirus, controlli e “privacy” nel contesto del lavoro, in Il lavoro nella giurisprudenza, IPSOA, n. 5/2020
Tra i principali ambiti interessati dalla normativa di emergenza Covid-19 è presente il rapporto tra salute pubblica e lavoro. D’altra parte, durante (e dopo) il lockdown, temi come il monitoraggio e il tracciamento hanno posto l’attenzione sulla tutela della sfera privata della persona, e del lavoratore. Ed è proprio sulle intersezioni tra privacy e lavoro che si focalizza il contributo qui segnalato. In prima battuta, l’Autore svolge un’attenta ricostruzione del concetto di privacy e delle sue possibili restrizioni, tanto alla luce della CEDU quanto alla luce della normativa europea. In questo secondo caso spicca naturalmente il GDPR, con i rilevanti motivi di interesse pubblico che possono giustificare, seppur accompagnati da adeguati presidi tecnici e normativi, alcune tipologie ‘emergenziali’ di trattamento dei dati.    
L’analisi del problema, incardinata sui principi di necessarietà e di proporzionalità del trattamento, non dimentica né le principali indicazioni dei Garanti europei – sintetizzabili nel disfavore per i monitoraggi sistematici e per l’improvvisazione delle iniziative datoriali anti-Covid –, né il quadro fornito dal Protocollo condiviso, di cui sono tuttavia dibattute la natura giuridica e alcune delle scelte.
In questo contesto, alcune delle problematiche chiave risultano essere l’acquisizione di dati personali a fini di prevenzione anti-contagio da parte del datore di lavoro e il monitoraggio delle attività del lavoratore in smart working.
Sul primo punto, l’Autore evidenzia le criticità della normativa di emergenza, soprattutto con riferimento al discusso tema della base giuridica del trattamento. Sul secondo punto, invece, posta la distinzione tra dispositivi forniti dal datore di lavoro e dispositivi di proprietà del dipendente utilizzati in modalità di lavoro agile, emerge la necessità di tutelare al meglio la sfera privata del lavoratore, pur con le dovute accortezze circa la sicurezza dei dati aziendali.



§ 5. Samuele Renzi, I diritti morali e patrimoniali del lavoratore-inventore tra brevettazione e segretezza industriale, in Diritto delle Relazioni Industriali, Giuffrè Francis Levebvre, n. 4/2019
Il contributo intende riflettere sulle implicazioni per il lavoratore-inventore della scelta imprenditoriale fra brevettazione e segretezza del trovato. La questione delle prerogative patrimoniali e morali dell’inventore non è infatti secondaria, in considerazione del numero sempre più alto di lavoratori impiegati in Ricerca e Sviluppo.            
Sotto questo profilo, l’Autore non risparmia critiche alla disciplina contenuta nel Codice della Proprietà Industriale (ma anche a quella del recente Jobs Act del lavoro autonomo), la quale «non tiene adeguatamente conto delle complessità proprie delle peculiari dinamiche relazionali fra inventori e imprese».
Ed è appunto in queste dinamiche, e specificamente nella scelta dell’imprenditore se brevettare o sfruttare in segreto l’invenzione realizzata dai suoi dipendenti, che verte la disamina. La tutela brevettuale, allorché inquadrata sotto il profilo giuslavoristico, sembra infatti concedere al lavoratore maggiori garanzie rispetto a quelle offerte dal segreto industriale. La delicatezza degli interessi in gioco, di stampo sia patrimoniale sia morale, emerge con particolare urgenza quando si prenda il caso del lavoratore cui il datore di lavoro non abbia riconosciuto l’equo premio per la sua invenzione, sfruttata in regime di segreto. In assenza di un documento brevettuale chiarificatore, come bilanciare le esigenze processuali di disclosure proprie del lavoratore con l’esigenza di tutelare la riservatezza delle informazioni aziendali propria dell’imprenditore? E sotto il profilo morale, invece, se l’invenzione è sfruttata in segreto, come riconoscere al lavoratore-inventore, oltre alla paternità dell’invenzione, anche le attribuzioni secondarie, come la possibilità di effettuare una pubblicazione o di accedere a nuove possibilità occupazionali in virtù dei risultati raggiunti?     
In assenza di soluzioni normative ad hoc, l’Autore propone l’estensione alle fattispecie menzionate di alcune tutele già esistenti, come l’applicazione dell’art. 121 ter c.p.i. alle controversie fra inventore e impresa su un’invenzione segreta e il riconoscimento di un equo premio calcolato anche sulla base del sacrificio imposto dal segreto industriale ad alcuni diritti morali del lavoratore-inventore.   



§ 4. Mattia Persiani, Diritto del lavoro e sistema di produzione capitalistico, in Rivista italiana di diritto del lavoro, Giuffrè Francis Levebvre, n. 3/2019        
Animato dall’intento di contestualizzare il ruolo del diritto del lavoro all’interno della moderna economia capitalistica, il saggio qui segnalato mette in chiaro fin da subito l’esistenza di una contrapposizione ideologica derivante dal risalente «conflitto industriale». In particolare, se da un lato vi è chi vede nella tutela giuslavoristica il superamento della «condizione di debolezza sociale ed economica in cui si trova chi vive del proprio lavoro», dall’altro vi è invece chi a tale postulato costituzionale ribatte col valore che la medesima Costituzione assegna alla libertà di iniziativa economica privata.   
E se è vero che l’art. 41 Cost. presuppone l’esistenza di un’economia di mercato – e dunque, nel contesto attuale, capitalistica –, allora il diritto del lavoro deve necessariamente trovare un compromesso tra le divergenti posizioni appena richiamate. Sul tema, la pregevole digressione storico-evolutiva offerta dall’Autore lascia emergere che il quadro legislativo è stato per molto tempo favorevole al lavoratore: a partire dal secondo dopoguerra, infatti, «non solo l’effettività della tutela dei lavoratori, ma anche la sua sempre maggiore intensità, è stata condizionata dall’esistenza di un sistema produttivo efficiente e competitivo che, generando profitti, era in grado di sostenere il costante aumento dei costi, diretti e indiretti, del lavoro».     
Tuttavia, oggi, la riflessione deve necessariamente tener conto delle inedite difficoltà dello scenario economico, che hanno spinto il diritto del lavoro verso una fase «dell’emergenza» prima, e «della crisi» poi, con scelte legislative difficili, ma talvolta necessarie. A maggior ragione, allora, la pluralità dei valori costituzionali (lavoro e impresa) non può che allontanare l’idea di una sistematica subordinazione degli uni agli altri e richiedere, invece, un «costante ed equilibrato contemperamento», il quale giovi tanto alla tutela del lavoratore quanto alla crescita imprenditoriale.



§ 3. Maria Dolores Ferrara, La somministrazione di lavoro dopo il decreto «dignità», in Il lavoro nella giurisprudenza, IPSOA, n. 10/2019     
Il saggio offre una lettura organica e completa di un istituto, la somministrazione di lavoro, che ha conosciuto di recente un’evoluzione normativa ambivalente: come sottolinea l’Autrice, difatti, il Legislatore del Decreto Dignità ha perseguito un difficile bilanciamento tra liberalizzazione del contratto commerciale (cioè l’accordo tra agenzia di somministrazione e utilizzatore) e limitazione dell’utilizzo dello strumento.         
Ne discende pertanto una disciplina con luci ed ombre, di cui il contributo passa in rassegna le principali novità, come ad esempio la reintroduzione dell’obbligo di giustificare il ricorso alla somministrazione e l’equiparazione dei limiti di durata e di cumulo della somministrazione a quelli del contratto a tempo determinato. La novella sembrerebbe tuttavia prestare il fianco a critiche costruttive: non a caso l’Autrice, dopo aver vagliato anche i profili relativi a rinnovo, proroga e clausole di contingentamento, conclude con l’indicazione dei motivi per cui l’auspicato aumento dei contratti a tempo indeterminato potrebbe essere minato da alcuni effetti collaterali proprio della nuova legge sulla somministrazione, paradossalmente contrari alla sua ratio.



§ 2. Tiziano Treu, La questione salariale: legislazione sui minimi e contrattazione collettiva, in Diritto delle Relazioni Industriali, Giuffrè Francis Lefebvre, n. 3/2019Nella fase storica attuale, caratterizzata da forti cambiamenti produttivi ed economici, riemerge il delicato tema salariale. A questo proposito il contributo, sospeso tra imposizione legislativa del salario minimo e applicazione del contratto collettivo, suggerisce l’esigenza di una rimodulazione del bilanciamento tra le fonti considerate. L’indagine è condotta riflettendo non solo sul panorama normativo di riferimento (in primis costituzionale), ma anche sul dato empirico, nazionale ed internazionale. Le esperienze internazionali di salario minimo, coerentemente con la loro funzione di «compensazione della carenza dell’autotutela collettiva», lasciano infatti intuire che il loro successo dipenda «dalla struttura di tali minimi, dal livello e dai meccanismi di adeguamento». L’Autore mette tuttavia anche in guardia dai rischi del salario minimo, come ad esempio il fatto che la sua introduzione potrebbe costituire un incentivo per le imprese ad uscire dal sistema della contrattazione collettiva.       
Su tale ultimo aspetto, poi, incide anche la constata proliferazione dei contratti collettivi, conseguenza di una frammentazione della rappresentatività e, dunque, promotrice di incertezza circa l’efficacia della fonte negoziale. Gioca un importante ruolo, sotto questo profilo, anche il coordinamento (spesso conflittuale) tra livelli contrattuali nazionale e decentrato, tema su cui l’Autore esprime l’auspicio che le esperienze decentrate possano articolarsi in maniera più armonica sulla base del contratto nazionale.     
E’ comunque necessario, anche per evitare il dumping, che le fonti prese in considerazione – legale da un lato, negoziale dall’altro – imparino a dialogare, in un nuovo scenario capace di contemperare, invece che escludere, l’introduzione di un salario minimo e l’estensione della parte salariale dei contratti collettivi.



§ 1. Michele Forlivesi, Sulla funzione anticoncorrenziale del CCNL, in Diritto delle Relazioni Industriali, Giuffrè Francis Lefebvre, n. 3/2019          
Inserendosi nell’annoso dibattito sulla rappresentatività delle organizzazioni sindacali e sulla posizione che il diritto del lavoro occupa nell’ordinamento, il contributo si sofferma sulle ragioni che sottendono alla necessità di un vero e proprio rilancio della funzione anticoncorrenziale del contratto collettivo nazionale.
Tale vocazione del CCNL si esplica in particolare mediante la fissazione del minimo salariale, strumento che, come ricorda l’Autore, favorisce la “competition on the merits” e preclude alle imprese tecnologicamente arretrate di ovviare alle inefficienze con l’abbattimento delle tutele giuslavoristiche. E se è vero che globalizzazione e liberismo hanno recentemente indebolito la tradizionale funzione della contrattazione collettiva, per l’ordinamento delimitare la «concorrenza al ribasso» rimane (e deve rimanere) comunque una priorità. In tal senso, citando anche i segnali di ripresa delle funzioni salariali e anticoncorrenziali del contratto collettivo visti nel settore cooperativo e in quello degli appalti pubblici, l’Autore commenta una recente iniziativa legislativa, la cui proposta è far leva sul rinvio mobile al CCNL stipulato dai sindacati comparativamente più rappresentativi per dare alla contrattazione nuova centralità e ripristinare così l’interesse pubblico alla corretta amministrazione dell’economia.

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